Catherine II by J.B.Lampi (1792-3, Chateau Vizille)

Caterina II

Johan Baptist von Lampi

 Musée de la Révolution Francais -Vizille

 

 

 

LA RUSSIA

AI TEMPI DI CATERINA II

E IL SUO TRIONFALE

VIAGGIO  IN CRIMEA

 

Michele E. Puglia

 

 

(Per gli amanti della lingua italiana, poichè è stato detto

che il punto e virgola (;) non lo usa più nessuno e,

già da qualche tempo,  è stato  dato

 in via di estinzione; come si vedrà,

abbiamo deciso di usarlo  con generosità,

per dimostrare che sia  un errore

destinarlo alla estinzione!)

 

 

PARTE PRIMA

 

 

SOMMARIO: IL “REGIME DELLE DONNE” DOPO LA MORTE DI PIETRO I IL GRANDE: IL BREVE REGNO DI CATERINA I; ANNA I REGGENTE DI IVAN VI; ANNA LEOPOLDOVNA REGGENTE DI IVAN VI; ELISABETTA I TRA SREGOLATEZZE E SVILUPPO DELL’IMPERO;  IL VALORE DEI CONTADINI SERVI DELLA GLEBA INFERIORE A QUELLO DEI CANI; MENTRE PIETRO III GIOCA CON I SOLDATINI CATERINA SI PREPARA A PRENDERE LE REDINI DELL’IMPERO (In Nota: Il Codice ovvero Istruzioni per il Codice); PRIMI AMANTI DI CATERINA E OSSERVAZIONI SU POTEMKIN; I COSACCHI NELLA DESCRIZIONE DI NICOLAI GOGOL; LE RIBELLIONI DEI CAPI COSACCHI: STEPANOVIC MAZEPPA; STENKA RAZIN IL RIVOLUZIONARIO PREDONE; IL POCO AMATO E TEMUTO ERMELJAN PUGATSCEF; LA RIVOLTA DI CATERINA II CONTRO PIETRO III E LA SUA ELIMINAZIONE; IL GRANDE POTEMKIN COGLIE LA LEGGENDARIA TAURIDE COME UN FIORE DONANDOLO ALLA IMOPERATRICE; IL MERAVIGLIIOSO PALAZZO DI POTEMKIN DETTO DI TAURIDE E LA GRANDE FESTA FATTA IN ONORE DI CATERINA; LA MORTE DI CATERINA E L’AVVENTO DI PAOLO I;.

 

 

 

IL “REGIME

 DELLE DONNE”

DOPO LA MORTE DI

PIETRO IL GRANDE



 

P

ietro  I il Grande, prima di morire aveva fatto giurare ai sudditi che avrebbero riconosciuto chiunque egli avesse indicato come suo successore; ciò nonostante, non si ebbe una normale successione in quanto alla sua morte (1725), fu la moglie Caterina I ad essere proclamata imperatrice; seguirono una serie di colpi di stato  in seno alla famiglia imperiale, che portarono sul trono le zarine, le quali instaurarono il “regime delle donne”, fino a quando il potere non finì nelle mani di Caterina II.

L’inizio di questo  regime” si ebbe con la moglie di Pietro I, Caterina I e del principe Mensikov, di cui era stata amante, prima che la prendesse lo zar; ambedue di bassa estrazione (Caterina Skavronki, di origine tedesca era figlia di contadini); Pietro li aveva conosciuti da poco e partendo per la guerra contro i turchi (la guerra riguardava l’occupazione del Mar d’Azof operata da Pietro per avere accesso al Mar Nero) aveva portato con sé Caterina e si era accampato presso il fiume Pruth (affluente del Danubio, nascente dai monti Carpazi), dove si doveva svolgere la battaglia.

Lo zar era disperato in quanto per il tradimento del principe valacco Cantemir, che doveva prestargli aiuto con il suo esercito, nel frattempo si era accordato con i turchi e non si era presentato a dare l’aiuto promesso; le forze di Pietro non erano sufficienti per affronare i turchi muniti di cannoni e lo zar non vedeva davanti a sé altro che la disperazione.

L’esercito turco-tataro era di oltre duecentomila uomini mentre lo zar ne opponeva solo trentottomila per di più decimato dal caldo e dalla sete (era il mese di luglio, 1711), in quanto, pur essendo nelle vicinanze del fiume, i russi, cirondati dai turchi non potevano avvicinarsi all’acqua perché bersagliati dall’artiglieria nemica; mancava anche  il foraggio per i cavalli, distrutto fino alle radici dalle locuste; i turchi erano disposti a mezzaluna, con i loro cannoni, erano in grado di distruggere tutta l’armata russa senza perdere un uomo o farla morire di fame, senza attaccarla.

Lo zar si era ritirato nella sua tenda, dando ordine alle guardie di non fare entrare nessuno, ma entrava Caterina che lo trova piegato sui suoi tristi pensieri e lo consola dicendogli “Moriamo, ma moriremo con coraggio”, e gli suggerisce le trattative per la pace,

In questi casi, quando si intavolavano trattative con i turchi esse erano precedute dalla offerta di doni; ma Pietro le dice che non sa dove prenderli e Caterina mon solo gli mette a disposizione i propri gioielli ma si incarica di raccogliere quanto potevano offrirle gli ufficiali; salita a cavallo, si reca nella loro tenda chiedendo il loro argento e quello dei soldati per lo zar, nostro padre, promettendo che lo avrebbero avuto restituito centuplicato; gli ufficiali colpiti dalla sua fermezza e dal suo fascino le mettono a disposizione tutto ciò che riescono a raccogliere, facendo rinascere le speranze dell’armata.

I turchi e i tatari erano già pronti in ordine di battaglia quando un gruppo di messaggeri, su ordine di Caterina, uscìva dal campo con uno stenderdo bianco che si diresse nel campo nemico verso la tenda del “kiaia”, di Mehemet Baltadgì al quale presentarono una borsa con diecimila ducati per lui e un cofanetto di pietre preziose per il gran visir, con una lettera del generale Scérémetov, che proponeva la pace  in nome dello zar; la battaglia fu sospeso e i soldati turchi che rientravano, vendettero ai russi il superfluo delle loro provvigioni. 

Il trattato che seguì, prevedeva la rinunzia di Pietro I al Mar d’Azov perdendo  l’accesso al Mar Nero (sarà poi Caterina II a conquistarlo con l’occupazione della Crimea), l’abbattimento delle tre fortezze di Samara, Taugarock e Kaminienska e il passo libero per Carlo XII di Svezia, per rientrare nei suoi Stati: Pietro I volle mostrare la sua  gratitudine a Caterina sposandola e associandola al trono.

Egli sposava Caterina in seconde nozze in quanto aveva  già sposato Eudossia Lopukin che gli aveva dato un figlio, Alessio Pietro e l’aveva ripudiata in quanto l’aveva sospettata  che lo tradisse.

Per la sua grandezza d’animo Pietro (1724), prima di morire aveva incoronato Caterina, imperatrice, ciò che in Russia non era mai avvenuto in precedenza; per di più Pietro l’aveva associata al trono e quando si era ammalato (di cancro alla vescica) aveva sospettato che se la intendesse con il ciambellano William Moëns (che fu giustiziato e altre persone della sua cerchia furono fustigate e deportate) e da quel momento non le aveva più rivolto parola.

Caterina gli aveva dato ben nove figli, tre maschi e sei femmine delle quali due rimasero viventi, Anna che sposava il duca Karl Friedderich Holstein-Gottorp ed Elisabetta che vedremo imperatrice.

Pietro I, non aveva scritto alcun testamento,  ma prima di morire con un ukase (editto), codificava le norme della successione in cui si prevedeva che sarebbe stato lo zar a indicare il proprio successore; egli oltre a non aver redatto alcun testamento, non aveva designato neanche il suo successore.

Pur essendosi ammalato alla vesvìcica, Pietro moriva di polmonite da cui era stao colpito mentre prestava generosamente aiuto nell’acqua gelida ai marinai naufragati presso Lachta, non lontano da Pietroburgo.

Sebbene avesse un nipote, Pietro, figlio dello sfortunato figlio Alessio, che per il tentativo di colpo di stato contro di lui era stato condannato alla decapitazione (in ogni caso  la sua morte era rimasta avvolta nel mistero (*)), il Consiglio segreto confermava imperatrice la moglie Caterina che egli stesso aveva incoronato, confermata dall’acclamazione della guardia imperiale a lei era favorevole (1725) e confermata dall’arcivescovo di Novgorod il quale dichiarava che Pietro I l’aveva fatta incoronare perché gli succedesse sul trono; così Caterina I si era seduta sul trono  ... ma sarà Aleksandr Mansikov a reggere l’impero.

 

 

 

*) Alessio (nato nel 1690) in contrasto con il padre che gli voleva dare una educazione pratica (mentre lo zarevic si dedicava con profitto allo studio della lingua tedesca e francese e seguiva gli esercizi fisici senza entusiasmo), aveva problemi interiori ed era di carattere indolente, di idee ristrette, ostinato e di debole intelligenza (non era che un Lapoukine scrive Rambaud);  era a capo dei nobili ed ecclesiastici ostili alle riforme che stava conducendo il padre; il suo matrimonio con Charlotte von Wolfenbüttel, superati i primi tempi, risultò infelice e Alessio desiderava ritirarsi a vita privata con la sua amante Afrosinja; dopo essere fuggito a Vienna  presso la Corte austriaca e poi a Napoli a Sant’Elmo, fu fatto rientrare dai diplomatici russi, con la promessa  dell’impunità:  giunto a Mosca (1718), in presenza di una grande adunanza, senza spada, dovette rinunciare al trono.

Quando era stato riferito al padre che il figlio si era rallegrato dei successi dei movimenti insurrezionali, Pietro I ordinò un processo in grande stile, senza aver riguardo alla sua posizione. Un tribunale di 127 dignitari ecclesiastici e laici procedette all’arresto di molte persone e si riempirono carceri e camere di tortura, rimanendo implicate molte persone eminenti; Alessio confessò che se fosse scoppiata una insurrezione e gli insorti lo avessero invitato, si sarebbe messo a loro disposizione; sottoposto a tortura confessò di aver desiderato la morte del padre; fu quindi emessa la sua condanna a morte (1718).

Secondo una versione (M. Richer: Histoire de Russie, 3. Voll, Paris, 1789) Mensikof frastornato e inorridito, aveva ricevuto l’ordine di preparare il patibolo e provvedere alla esecuzione e questo aveva mandato a cercare chi doveva procedere alla esecuzione; gli si era presentato un soldato che aveva le sembianze di Alessio che si offriva di sostituirlo; Mensikov ben lieto accettò e la mattina all’ora della esecuzione si presentò il soldato con gli abiti di Alessio al quale gli fu tagliata la testa; il padre aveva osservato da una finestra la esecusione e non si era accorto della sostituzione.

Si deve tener presente che all’epoca l’educazione impartita era barbara e crudele come era avvenuto con  Federico II di Prussia  che bastonava il figlio e stava per fargli tagliare la testa come racconta Voltaire (in Vita di Federico II) e alla ragazza con cui il principe amoreggiava, le aveva fatto fare pubblicamente il giro della piazza di Postdam a suom di nerbate.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           

Secondo un’altra versione sulla morte di Alessio, il giorno seguente alla condanna lo zarevic moriva, secondo alcuni, in seguito alle frustate del padre a colpi di knut; secondo altri era stato decapitato o avvelenato o soffocato con cuscino o, come riportato nei protocolli della fortezza Pietro e Paolo, sarebbe morto dopo l’ultima tortura (sotto la sferza del knut).

Alessio godeva delle simpatie di molta parte della popolazione e dopo la sua morte apparvero ben cinque pseudo-Alessio che affermando di essere lo zarevic che si era salvato, ciascuno di essi trovò i propri seguaci, ma furono tutti arrotati, squartati e decapitati dal potere politico (Storia della Russia di Valentin Gitermann, tradotta dal russo, ed. La Nuova Italia due Voll. 1989: opera incomparabile, oltre a riportare numerosissime Fonti documentali).

 

 

Il periodo 1725-1796 è contrassegnato

dalla successione delle imperatrici

considerato “regime delle donne”

o “ginecocrazia”.

 

 

IL BREVE REGNO

DI CATERINA I

 

 

C

aterina I, al secondo anno di regno si ammala (1727),”non senza sospetto  che vi avesse contribuito mano maligna” (si diceva che le avessero fatto mangiare una pera avvelenata).

Predisponendo il testamento, indicava come imperatore il nipote Pietro (che allora aveva undici anni) e istituiva un Consiglio di reggenza. Contrariamente alle disposizioni di Pietro I, assunse lei l’iniziativa di designare come successori del nipote, i suoi figli,  e, in caso di sua morte senza prole, la figlia Anna Petrovna moglie del duca Karl Friedrich von Holstein-Gottorp (Gitermann)  e madre di Pietro III, e, nel  caso di sua morte senza figli, la seconda figlia, Elisabetta Petrovna e suoi eredi; dopo di lei, se non avesse avuto eredi, Caterina I indicava l’altra nipote Natalia Alessiovna (sorella del designato nipote Pietro).

Caterina I dopo aver fatto sposare sua figlia Anna, provvide subito a far pagare le truppe in fermento, che l’avevano appoggiata, per tenerle disponibili e poiché i cosacchi erano anch’essi in fermento, fece costruire diversi forti nei loro territori, rassicurandoli col dire che i forti erano costruiti contro le scorrerie dei tatari.

Ma, come abbiamo detto, chi aveva preso in mano la situazione, era stato il potente e immensamente ricco principe Aleksandr Danilovic Mensikov (si diceva che avesse centomila schiavi), suo amante prima che sposasse Pietro I (v. in Specchio dell’Epoca: Il viaggio di Pietro I a Parigi).

Mensikov, avrebbe dovuto controbilanciare il potere del duca di Holstein, indolente e altero, ma Mensikov, più sfrontato, lo trattava con sufficienza tanto che quando al mattino si recava dall’imperatrice, lasciava che fosse il duca o la duchessa di Holstein a chiudere la  porta (i nobili  non aprivano o chiudevano mai le porte e anche in Francia, la cui etichetta era stata adottata dalla corte russa, questo compito era svolto dai valletti).

Alla morte di Caterina I (1727) succedeva il designato Pietro II, il quale, dopo  aver regnato un anno e nove mesi, aveva appena raggiunto la maggiore età (sedici anni), quando moriva  di vaiolo (1730).

 

 

ANNA I REGGENTE

DI IVAN VI

 

 

A

 Pietro II, succedeva (1730) Anna di Curlandia, come Anna I, figlia di Ivan V (fratello di Pietro I, v. cit. Viaggio di Pietro I ecc.) vedova di Federico III Guglielmo, duca di Curlandia, morto (1711) subito dopo il matrimonio (1710), il quale  aveva adottato il pronipote Ivan (poi Ivan VI), figlio della nipote Anna Leopoldovna (figlia della sorella Caterina), moglie del duca Antonio-Urlico di Brunswick-Volfenbuttel.

Anna I aveva come amante l’avventuriero Ernst Johann Bürhen (o Biren o Biron come si faceva chiamare per farsi passare per nobile francese, appropriandosi dello stemma di questa famiglia), figlio di uno scudiero del duca di Curlandia; era divenuto segretario di Anna e poi suo amante e si era elevato agli onori di tutte le dignità della Russia; con lo stesso potere dello zar,  aveva a disposizione le casse del fisco.

Questa imperatrice aveva il gusto della crudeltà, con inclinazioni alla ferocia e si era circondata di esseri mostruosi, come storpi, nani e buffoni, anche di alto lignaggio, che faceva strisciare per terra e mimare spettacoli truculenti, con parodie di matrimoni  e disgustosi accoppiamenti. Moriva di mal della pietra (ossia di  calcoli), nel 1740.

 

ANNA LEOPOLDOVNA

REGGENTE DI IVAN VI

 

 

A

veva diritto a succederle Ivan Antonovic come Ivan VI e come suo reggente era stato designato Biron; ma la reggenza intendeva assumerla la madre del bambino, Anna Leopoldovna moglie del principe Antonij von Brunswick, che aveva preso accordi segreti con il maresciallo di campo Burkhard Christof von Münnich (1683-1767), il quale, con l’aiuto di cento granatieri del reggimento Preobrazeschij, si recava al palazzo di Biron ad arrestarlo; il giorno seguente Anna fu dichiarata gran principessa e reggente e il marito e padre di Ivan, principe Brunswick,  generalissimo.

Anna però non era in grado di reggere lo Stato, la sua guida fu presa da Münnich che era tedesco, con la conseguenza che la Russia era signoreggiata da tedeschi, ciò che dava a Hermann Lestocq la possibilità di mettere in atto una rivolta di palazzo.

 

 

*) La popolazione russa a metà 1700 contava circa 20 mln di anime; nel 1714 ne contava 13 mln., nel 1796 29 mln. e nel 1815, 30 mln. .

 

 

ELISABETTA I

TRA SREGOLATEZZE

E REALIZZAZIONI

PER LO SVILUPPO

DELL’IMPERO

 

  

E

lisabetta Petrovna (che vediamo nel ritratto  piacevolmente piena delle grazie che la moda consentiva di mettere in mostra quasi fino ai capezzoli, per l’assenza di diete che all’epoca consentivano ai ricchi di mangiare a sazietà e senza ritegno e le imperatrici russe di cui stiamo parlando, le vediamo tutte in abbondante sovrappeso), era la minore (nata nel  1709) delle figlie viventi di Pietro I e Caterina I.

La sua educazione intellettuale era stata poco accurata: conosceva bene il francese, farfugliava il tedesco e un poco di svedese, ma per qualche tempo aveva creduto che si potesse andare in Inghilterra in carrozza; preferiva intrattenersi con la servitù, partecipando ai preparativi matrimoniali delle sue ancelle e in compagnia dei soldatti invitati, si allietava in danze popolari.

Tra gli amici intimi dava prova dei suoi talenti imitando il contegno e l’andatura di chicchesia; era legata  con tutta l’anima alle vecchie superstizioni moscovite e seguiva con ingenua pietà i riti della Chiesa ortodossa e così i gruppi xenofobi e bigotti stesero un velo sui suoi vizi e la considerarono rappresentante del genuino spirito russo e l’odio nutrito per i tedeschi era divenuto adesione e simpatia per Elisabetta.

Fu così che l’ambasciatore di Luigi XV, Jaques Trotti de la Chétardie, l’aveva introdotta alla letteratura francese (e, per la debolezza che lei aveva per gli uomini, non si possono escludere piacevolezze più intime) e l’aveva convinta ad accettare la corona imperiale ed Herman Lestocq, chirurgo protestante di Pietro I, si era reso promotore del colpo di Stato.

Lestocq infatti la fece acclamare imperatrice (1741) dal reggimento della caserma di Preobrazenskij e quindi, con l’aiuto di trenta granatieri di questo reggimento Elisdabetta, con Mikael Lazarovich, il conte di Woronsov, si recava al Palazzo d’Inverno  dove si trovava il piccolo Ivan con la madre Anna, il padre e  gli ufficiali fedeli che furono arrestati; Ivan fu mandato nel castello di Schlusselburg, mentre Anna e Urlico, considerati usurpatori, furono relegati sulle coste del mar Bianco; il giorno dopo Lestocq dichiarava ufficialmente Elisabetta imperatrice, nomina approvata dal Senato (1741).

Gitermann (op. cit.) riferisce che dopo la idealizzazione fanatica della epicurea  Elisabetta fatta nelle Memorie dal conte Aleksandr Vorontsov nella seconda metà del  sec. XIX, lo storico Solov’ev  aveva cercato di riabilitarla, seguito da Kljucevskij che l’aveva descritta in maniera benevolmente beffarda, come  una dama russa accorta e bonaria, pigra e capricciosa, disordinata e incolta, avida di sensazioni e di pettegolezzi, sognatrice e incantatrice: Non c’è da meravigliarsi che con un carattere così eclettico ed estroverso avesse l’abitudine di cambiarsi d’abito tre-quattro volte al giorno, da lasciare, alla sua morte, quindicimila costosi vestiti, con migliaia di scarpe e abbia fatto costruire quel grandioso Palazzo d’Inverno di Pietroburgo, dove erano stati impiegati trecento kg. di oro per decorare quelle  magnifiche sale; per  non parlare della sala interamente decorata d’ambra (ricostruita in quanto il treno che trasportava l’ambra originale era scomparso durante la 2a guerra mondiale e non  più ritrovato!).

Da ragazza Elisabetta era esuberante e completamente isolata dalla Corte, si dette a un abuso così sfrenato dei piaceri sensuali (al limite della ninfomania!) che ebbero il sopravvento sulle sue doti spirituali, tanto che quando morì Pietro II non si potè pensare alla sua candidatura in quanto, aveveva appena partorito un bastardo e si trovava a letto.

L’amico del momento era il sergente Aleksej Subin, il quale finì incarcerato ed esiliato, per aver fatto imprudenti dichiarazioni politiche; Elisabetta concedeva quindi  i suoi favori ad Aleksej Razumovskij, un robusto cantante ucraino figlio di contadini, al quale per la sua bella voce, conferiva il titolo di conte e di maresciallo di campo e lo sposava segretamente dandogli, per le libertà che continuava a prendersi per suo conto, motivo di furiosa gelosia ...  fino a morirne (1742).

Per questa sua sfrenata dissolutezza, il diplomatico prussiano, conte Finkenstein, aveva scritto di lei:”La sua passione dominante è la lussuria; a questa si dà con impazienza e senza ritegno e si può veramente dire che tanto le sue virtù, quanto i suoi difetti derivino dalla brama del piacere”; e poiché Elisabetta era estremamente pigra, aggiungeva: “anche la pigrizia, consueta compagna della lussuria è un tratto caratteristico di questa principessa”.

La nuova imperatrice dichiarava di voler continuare la politica del padre e, nonostante si fossero sottolineati i suoi difetti, nei vent’anni di regno aveva posto in essere diverse realizzazioni, anche nel campo della cultura, con l’istituzione dell’Accadmia delle Belle Arti, oltre ad aver dato impulso a diversi settori dell’industria, commercio (tra l’altro aveva abolito il dazio interno) e agricoltura; sebbene gli ultimi anni della sua vita fossero stati turbati da rivolte dei contadini, per aver emanato diversi ukase in favore della nobiltà, che andavano contro i loro interessi e annullavano provvedimenti presi dal padre in loro favore.

Elisabetta aveva regnato fino alla morte  (1761); sulla malattia da cui era stata colpita era stato detto soltanto che era infettiva (essendo facilmente intuibile che si trattasse della nota malattia venerea).

Era stata considerata “clemente” in quanto era stata la prima tra tutti i regnanti che, contraria alla pena di morte, l’aveva fatta ufficialmente abolire (1744); ma questa clemenza era intrisa – per natura!    di una buona dose di  crudeltà e sadismo, come l’imperatrice Anna I, la sorella che l’aveva preceduta.

Mentre infatti da una parte aveva graziato ventimila deportati, dall’altra, durante il suo regno ne erano stati deportati ottantamila (la cifra però secondo Gitermann proviene da fonti non proprio fidate!); e, tra gli altri,  il generale Münnich era finito nel carcere che egli stesso aveva costruito per Biron, a Pelim, in Siberia; Münnich come vedremo, sarà graziato da Pietro III.

Sul suo sadismo, si raccontava della nobile Natalia Lopouchina (la famiglia era quella della prima moglie di Pietro I), di abbagliante bellezza, che aveva avuto l’ardire di  presentarsi a una festa con la stessa pettinatura e gli stessi fiori portati da Elisdabetta; l’imperatrice la costrinse  a inginocchiarsi e dopo averle strappato una rosa con un ciuffo di capelli, le aveva dato due sonori schiaffi.

La faccenda non finiva lì ed ebbe anche un seguito:  Col pretesto che un diplomatico austriaco frequentasse la casa della signora Lopouchina che tramava una congiura, Elisabetta fece inscenare un processo e dopo averla fatta frustare a colpi di knut (la frusta con stringhe di cuoio) in sua presenza, Natalia fu anche sottoposta con  la signora Bestuzeva, alla tortura dei carboni ardenti e dopo averle fatto strappare la lingua, fu mandata con tutti i coinvolti nel processo alla deportazione.

Elisabetta aveva mantenuto  la Cancelleria degli affari segreti o Cancelleria segreta (*) che si comportava come il KGB di sovietica memoria (e gli attuali Servizi non sono da meno: valga, da ultimo, l’esempio di Alekseij Novalny (**))!; la sovrana  si era in certo qual modo disimpegnata, richiedendo che non le facessero pervenire i rapporti; ma le vittime della Cancelleria segreta erano state migliaia!

Elisabetta aveva designato il nipote granduca Pietro di Holstein (poi Pietro III) di origine e formazione tedesca e grande ammiratore dell’imperatore Federico II; dalle limitate capacità intellettuali e di carattere capriccioso, Pietro disprezzava apertamente i russi ed era del tutto indifferente agli interessi nazionali.

Quando Elisabetta moriva e le succedeva il nipote come Pietro III, la Russia affrontava la Guerra dei sette anni (v. sotto) e per breve tempo le truppe russe avevano occupato Berlino (1760) e Federico II era così disperato, da pensare al suicidio; ma avvenne il c.d. “miracolo di Brandeburgo” in quanto Pietro III, comportandosi da fedele alleato della Prussia, firmava un trattato di pace in base al quale erano restituiti alla Germania tutti i territori conquistati dall’esercito russo oltre ad essere stato offerto, mandato in appoggio a Federico II, un contingente di ventimila uomini.

 

 

*) La Cancelleria Segreta era stata creata a Pietrobugo nel 1718 e agiva accanto alla Preobasenskij prikaz di Mosca cretata da Pietro il Grande (in tanta segretezza che non si conosce la data della sua istituzione!); Ivan il Terribile, primo gran principe di Moscovia ad essere incoronato zar, aveva istituito  l’Opricnina  (1565) con seimila agenti, vestiti di nero che circolavano su cavalli neri e avevano impresso sulla sella come emblema, una testa di cane e una scopa, che simboleggiavano la loro missione: fiutare il tradimento e spazzarlo via.

I tradimenti però erano nella fantasia degli opricniki e dello zar  che, come Stalin, spazzavano via intere città; a Novgorod furono massacrati quasi tutti gli abitanti (1570) in un’orgia sanguinaria durata cinque settimane, mentre lo zar alternava il barbaro sadismo dei massacri alla preghiera e al pentimento (Storia segreta del KGB di C. Andrew e O. Gordievskij, Rizzoli, 1991); era poi seguita la Cancelleria segreta.

**) L’Italia e la Russia fin dal XVIII sec. sono state legate da vincoli di amicizia e con tutta la simpatia suscitata ai nostri tempi da Vladimir Putin, dispiace assistere allo scempio che sta facendo dell’Ucraina, dopo essersi appropriato del Donbass e della leggedaria Crimea che avevano seguito l’appropriazione della Georgia e della Cecenia ed ora vuole prendersi parte dell’Ucraina per impadronirsi del Mar d’Azof e avere libero accesso al Mar Nero e al Mediterraneo, comportandosi da erede di Hitler e Stalin dai quali ha ereditato la follia del primo e le crudeltà del secondo, accanendosi contro la popolazione inerme, come faceva Stalin che mandava a  massacrare intere popolazioni (facendo venti milioni di morti).

Avevamo seguito il Presidente Putin sin da quando con la caduta del Muro di Berlino (1989), si erano avvicendati Mikail Gorbacov con la Perestroika, il quale aveva sbloccato l’URSS, seguito Boris Eltsin, che aveva ceduto il potere a Putin proveniente dalle fila degli agenti del KGB e si era sperato in una sua personale evoluzione in tema di libertà democratiche.

Purtroppo, con sommo rammarico, abbiamo dovuto constatare che la sperata evoluzione di Putin verso le libertà democratiche non è avvenuta anche per colpa dell’Occidente, vale a dire della Nato che lo considerava un nemico e dell’Unione Europea che ha fatto sempre da ciondolo degli USA e della Nato, che dovevano attrarlo nella compagine occidentale, vale a dire far entrare la Russia nella Nato e associarla alla U.E.: questo errore lo ha allontanato dall’Occidente, col risultato che si è reso un dittatore sanguinario che ha pensato ad accumulare oltre quattromilasettecento testate nucleari, da ditruggere tutto il pianeta, invece di pensare al benessere della popolazione e accumulando con la corruzione una ricchezza valutata due mld. di dollari!

Ora, da ex agente del KGB, e non da zar-autocrate come Pietro il Grande (come ha detto di essere!), come si rileverà da quanto abbiamo scritto (Viaggio di Pietro il Grande a Parigi e preseenti), era di tutt’altra levatura, pensa solo a ricostituire l’impero sovietico, a scapito del benessere dei cittadini, che sono migliorati non più di tanto di come vivevano in epoca sovietica, per privilegiare gli armamenti e l’esercito, che comunque, è risultato pieno di falle!

Grande Madre Russia! Quanto ci sei stata cara quando da giovani seguivamo i romanzi dei tuoi grand scrittori; ma ora ti vorremmo vedere gestita in maniera un più democratica! Nella prima giovinezza ci siamo nutriti della letteratura russa e abbiamo conservato tutti i libri nelle famose traduzioni delle edizioni della Mursia, ora, negli ultimi anni della vita, con i presenti articoli (e in Specchio dell’Epoca: La formazione dell’antico stato russo), riteniamo di aver chiuso il percorso!   

 

 

 IL VALORE DEI CONTADINI

SERVI DELLA GLEBA

ERA INFERIORE

A QUELLO DEI CANI

 

 

I

l  nuovo regime dei Romanov (1613)  aveva continuamente peggiorato le condizioni di vita della popolazione rurale; mentre le prestazioni feudali del XVI sec. assorbivano un terzo del loro tempo, con la nuova dinastia furono accresciute alla metà; per di più quando ricorrevano i contratti di affitto veniva addossato ai contadini l’obbligo di ricostruire gli edifici danneggiati (granai e altro) e quando il contratto cessava, le opere ricostruite rimanevano al proprietario, senza obbligo di rimborso delle spese sostenute dall’affittuario.

Il principe Petr Kopotkin (riferisce Gitermann) nelle sue “Memorie” racconta che la ricchezza di un proprietario di terre si misurava col numero delle “anime” che appartenevano alla  terra: tante anime equivalevano a tanti servi della gleba di sesso maschile che lavoravano la terra, giacché le donne non contavano (l’imposta sulle anime “podouschni-okladera  pagata dai soli uomini in quanto  si riteneva che le donne russe, come in Turchia, fossero senza anima (Aristotele! ndr.); questa imposta fu triplicata da Caterina e Paolo la raddoppiò ulteriormente; i contadini erano  distribuiti in vari villaggi.

Il numero delle anime cresceva in base ai matrimoni tra i figli e le figlie dei servi; al padre del principe Petr, il principe Aleksej Petrovic Kropotkin, era stato fatto notare che il numero delle sue anime cresceva lentamente; egli recandosi in un villaggio, si fece consegnare l’elenco degli abitanti da cui prendendo i nomi dei ragazzi che avevano compiuto diciotto anni e delle ragazze che avevano superato i sedici ne estrasse cinque coppie e stabilì che si dovevano sposare entro dieci giorni; questi matrimoni per comando erano una cosa comune, chi voleva evitarli ricorreva ai battesimi nei quali i giovani che intendevano sposarsi si prestavano a fare da padrino e madrina in quanto per essi vi era il divieto di matrimonio da parte della Chiesa,  ritenuto incestuoso.

“Mio padre”, scrive Petr, “che in tre diverse province possedeva quasi milleduecento anime, oltre ai fondi ereditari relativi ad esse, aveva anche vaste estensioni di altri terreni che faceva coltivare da questi uomini, passava per uomo molto ricco” (si può stimare che il principe con milleduecento schiavi, avesse intorno a millecinquecento ettari; ma vi era il conte Scheremetoff che di anime ne aveva centoventimila ndr.).

La nostra famiglia, prosegue il principe, constava di otto persone, talvolta dieci o dodici, ma a Mosca non sembrava fosse troppo avere cinquanta domestici e altri venticinque in campagna; quattro cocchieri per dodici cavalli, tre cuochi per la mensa signorile e due cuoche per le persone di servizio; una dozzina di camerieri per servire a tavola; dietro la sedia di ogni commensale ve n’era uno con un piatto in mano; innumerevoli cameriere erano adibite alle stanze delle ragazze ed era il meno che si potesse avere.

Per il sostentamento di tutte queste persone, mio padre all’inizio dell’inverno scriveva al suo fattore di Nikol’scoe nel governatorato di Kaluga, distretto di Mesovsk sulla Sirena...”non appena vi sarà neve sufficiente, dovrai mandarmi a casa a Mosca venticinque slitte da contadino a due cavalli, un cavallo da ogni casa e una slitta e un uomo ogni due case e caricarvi x di avena, x di grano, x di segale e inoltre  tutti i polli, oche e anitre che si dovranno ammazzare questo inverno; il tutto in buono stato di congelamento e d’imballaggio e sotto la sorveglianza di un custode adatto” ... e così continuava per un paio di pagine.

Seguiva l’enumerazione delle punizioni, in cui sarebbe incorso il fattore se i viveri non giungevano in tempo giusto e ben condizionati.

 (Il contenuto del presente paragrafo è ripreso dalle Fonti della citata Storia della Russia di Gitermann, come i seguenti).

Molti padroni consideravano i loro contadini alla stessa stregua del loro bestiame, anzi li trattavano peggio dei cani; un padrone chiamava il suo servitore “Barbask” (in Russia era il nome usuale dei cani) e sempre per chiamarlo gli fischiava; è noto che gli allevatori di cani scambiavano centinaia di schiavi con  un solo cane: si davano via villaggi interi per un solo cane.

Mentre il valore di una ragazza era di venticinque rubli. I proprietari di piccole tenute rurali che avevano bisogno di ragazze giovani le comperavano al prezzo di venticinque rubli ciascuna; molti genitori riscattavano a questo prezzo le loro figlie per poterle maritare con uomini liberi.

In quel tempo il proprietario di terre pagava per un levriero giovane fino a tremila rubli, sicchè questa bestia era stimata  centoventi volte più di una creatura umana, ovvero centoventi giovinette uguagliavano il valore di un cane (da Ricordi di un ecclesiastico di villaggio, in cit. Fonti).

Mi duole e arrossisco  dalla vergogna quando non posso fare a meno di dichiarare per mia esperienza che proprio amministratori tedeschi di tenute signorili, si permettono spesso le più grandi iniquità contro i servi della gleba loro affidati: spesso molti di questi levavano amare lagnanze contro la condotta severa e spietata di quei fattori e ne avevano fondati motivi; ciò potrà apparire strano a qualche filantropo tedesco, eppure è così.” Per questo i nobili russi preferivano assumere come amministratori dei loro beni dei “livoniani”, perché questi sapevano usare una durezza sistematica. (A.Z. in cit.Fonti).

La fustigazione prevista per i servi della gleba, era prevista come punizione dalla legge e applicata dal giudice in seguito a una querela, e avveniva con il knut: In un villaggio, dopo che tre servi erano stati sferzati col knut e si stava per castigare altri due, tutti gli astanti che erano stati chiamati per ordine della polizia perché assistessero alla flagellazione, e così pure il popolo che si era adunato, cominciarono a gridare che si spargeva sangue per nulla e che l’ukaze non era stato letto in pubblico. Quando il carnefice  ebbe veduto ciò, aveva gettato il flagello a terra, dicendo chiaro al giudice:”Castiga tu stesso”. Anche i soldati abbassarono i fucili; ma il giudice comandò al commissario di polizia eletto dai contadini di un villaggio vicino, di continuare il castigo.

Ma, a fronte di tante malvagità, vi era chi riteneva che: - “La sorte dei servi della gleba nella loro esistenza individuale non è affatto disgraziata, anche se da ignari, è descritta con le tinte più fosche, mentre in generale i servi della gleba stessi non sentono affatto di condurre una triste esistenza”.

Coloro che al pari di me hanno avuto occasione di sentire i servi della gleba parlare e giudicare, acquisterebbero su tale argomento vedute del tutto diverse da quelle di prima. Ho assistito a casi in cui i servi della gleba rifiutavano la libertà loro offerta e respingevano le lettere di emancipazione .... Uomini addetti ad una corte rurale, vengono liberati per punizione ... La condizione dei servi della gleba non è affatto triste ed è perciò un errore imperdonabile giudicare così aspramente la servitù della gleba (Adolph Zando in cit. Fonti).

Più volte osservai che gli affrancati si recavano dai loro ex proprietari e li pregavano umilmente di riprenderli in qualità di servi della gleba (*). E’ vero che alcuni di essi erano vecchi e malaticci e non avevano di che nutrirsi e approvigionarsi. Questa gente sopporta ordinariamente la più dura oppressione senza mormorare, al che forse contribuiscono più che altro la loro convinzione di un destino inevitabile e la loro leggerezza. Tuttavia questo non è il caso di tutti; molti fuggono dai padroni quando la loro presenza è messa a dura prova; altri pensano a vendicarsi (Wikelhausen cit. F.).

La metà dei proprietari fondiari che vengono uccisi dai loro servi, fanno questa fine a causa delle loro bravate erotiche; il contadino sa che la giustizia se ne infischia delle sue querele, ma ha la sua scure e la maneggia con destrezza (Aleksandr Erzen in cit. Fonti).

Delle sferzate se ne faceva largo uso durante il servizio militare che era terribile. Durava venticinque anni e la vita del soldato era faticosissima, significava esser lontani da casa e sottoposti all’arbitrio degli ufficiali; al minimo sbaglio si era colpiti con pugni o con vergate o bastonate, con una ferocia che superava ogni immaginazione; ciò avveniva anche nel corpo dei cadetti che erano i figli dei nobili; alle volte per il motivo di una sigaretta si appioppavano mille vergate al cospetto di tutto il corpo e il medico che stava vicino al corpo del ragazzo, ordinava la cessazione del castigo quando sentiva che il polso minacciava di fermarsi del tutto e la vittima insanguinata veniva trasportata all’ospedale.

Era ancora peggio per i soldati comuni: si disponevano mille uomini su due file di fronte l’una all’altra, ognuno munito di una verga dello spessore di un mignolo chiamata in tedesco “Spiessrute” (verga-spiedo); il condannato era trascinato tre-quattro-cinque volte tra le due file e riceveva una sferzata da ogni soldato; sottufficiali andavano in mezzo per controllare che esse fossero date con tutta forza; dopo mille, duemila colpi la vittima, sanguinante veniva portata all’ospedale; se lo svenurato moriva sotto le vergate, i colpi mancanti si davano al cadavere (Memorie del principe Kropotkin)!

Nel 1790 fu pubblicato il libro “Viaggio da Pietroburgo a Mosca” di Aleksandr Radiscev in cui l’autore faceva un appassionato appello contro l’autocrazia e la servitù della gleba e sviluppava  l’idea della necessità e legittimità di una rivoluzione dei cotadini verso i quali Radiscev mostrava le sue simpatie; il libro suscitò le ire di Caterina e il tribunale lo condannò allo squartamento; Caterina in nome dei suoi principi di monarca illuminata convertì  la pena in deportazione.

La schiavitù della gleba fu abolita nel 1861 da Alessandro II e furono liberati intorno a 40milioni di contadini; da quanto riferisce il principe Kropotkin fu per i proprietari anche un affare in quanto il padre, dall’affitto della terra ai comtadini prendeva il doppio di quanto prendeva quando la terra era lavorata dai servi della gleba, ciò che aveva dato un forte impulso allo sviluppo del Paese: si costuirono infatti ferrovie, la nobiltà affollava le banche private appena sorte, per assumere ipoteche; nuovi avvocati e notai acquistarono grandi entrate, le società per azioni si moltiplicarono; persone che erano vissute in campagna con un centinaio di servi della gleba, giunsero  ad avere  patrimoni e rendite che un tempo avevano potuto avere soltanto i magnati terrieri.

 

 

*) Ciò che è successo in Russia dopo la fine dell’URSS, dove quelli che sono vissuti durante il periodo sovietico hanno rimpianto quel periodo!

 

 

MENTRE PIETRO III

GIOCA CON I SOLDATINI

 CATERINA

SI PREPARA A

PRENDERE LE REDINI

DELL’IMPERO

 

 

 

E

lisabetta quando era granduchessa, era fidanzata con il principe d’Holstein-Huttin, vescovo titolare di Lubecca, il quale sposandola, probabilmente l’avrebe riscattata dalla sua vita licenziosa; ma il principe moriva di vaiolo alla vigilia del loro matrimonio, lasciando Elisabetta al suo destino.

Divenuta imperatrice, Elisabetta per dare ordine alla successione, aveva fatto venire a Corte il figlio della sorella Anna Petrovna, il quattordicenne duca Karl Peter Urlic di Holstein designandolo come suo successore.

Il ragazzo, era orfano e scarso di doti di corpo e di spirito, per di più nella sua patria prussiana aveva subito le angherìe del suo crudele istitutore Brümmer che per punizione lo frustava a sangue, lo legava al letto, gli toglieva i pasti,  lo ingiuriava nella maniera più villana; Brümmer lo aveva accompagnato alla Corte di Elisabetta e gli inculcava il più profondo disprezzo per la Russia e il popolo russo;.

Elisabetta, allibita per la mancanza di conoscvenze del ragazzo, licenzò Brümmer e lo sostituì con l’accademico tedesco Jacob von Stählin il quale, resosi conto delle deficenze dell’allievo, incapace di capire cose astratte, cercò di utilizzare un metodo più adatto alle sue capacità, divertenti e intuitive.

Ma tutti i tentativi di familiarizzarlo con la lingua e la religione russa fallirono; il ragazzo raggiunti i diciassette anni, scosso da diverse malattie era mentalmente immaturo.

Era invece entusiasta di Federico di Prussia il Grande e giocava con i soldatini di legno e di piombo e con la uniforme di gala di generale, con la servitù di Corte in uniforme, nella sua stanza, si esercitava con i soldatini e con delle cordicelle si simulavano gli spari di fucili: un ratto aveva osato mangiargli due soldatini di farina, il ratto fu processato e impiccato seguendo tutta la procedura legale.

Le sue osservazioni e ordini ferivano i russi e Pietro si era attirato l’odio generale; Elisabetta, disperata nel vedere a chi sarebbe toccata la sua corona, decise di farlo sposare e aveva invitato a Corte la principessa d’Anhalt Holstein, sorella del suo fidanzato deceduto, principe di Holstein, con la figlia Sophie-Augusta Friedericke von Anhalt-Zerbst, accompagnando l’invito con la somma di diecimila rubli, per le spese di viaggio.

Sophie aveva sedici anni (nata nel 1729), piccola di statura, aveva gli occhi che in base ai riflessi andavano dallo champagne al blu, e aveva bei capelli e bei denti e l’abitudine di portare la testa alta, per correggere la sua statura, che le dava un bel portamento.  Pietro dopo pochi giorni le fece subito capire che non gli piaceva e l’avrebbe sposata solo perché lo desiderava l’imperatrice.

Sophie aveva avuto una istitutrice francese e, abituata a leggere molto e con intelligenza, era già intellettualmente matura e preparata per affrontare i disagi che le creava il futuro sposo, pur di diventare un giorno imperatrice; si adoperò in modo da conciliarsi le simpatie dell’imperatrice e dei russi che frequentavano il palazzo, attenta all’effetto che produceva il suo fare o non fare, come si comporterà quando diventerà imperatrice.

Si era impegnata a studiare il russo e pur conservando l’accento straniero, si accorse che  nel pronunciare epressioni russe caratteristiche, faceva buona impressione sugli ascoltatori: così la piccola Sophie imparava a recitare ed era accorta ad osservarne gli effetti che produceva!

Durante i preparativi delle nozze i due sposi andarono in pellegrinaggio a Kiev e al ritorno Pietro ebbe un attacco di vaiolo che lo rese contraffatto e disgustoso; Sophie di fronte a questa terribile metamorfosi quando lo vide dopo la malatia, ne era rimasta colpita e inorridita, ma salvò le apparenze abbracciandolo; tornata nel suo appartamento prima di riprendere i sensi, rimase per tre ore tramortita; ciò però non le impedì di accettare le nozze.

Pietro a sua volta con questo cambiamento fisico ne fu tanto scosso da non riprendersi ed egli stesso preso da avversione, con Sophie si comportava freddamente; ambedue per un certo periodo riuscirono a salvare le apparenz; cessata la dissimulazione, tra i due giovani sposi subentrò l’indifferenza, che non sfuggì agli occhi dei cortigiani.  L’imperatrice aveva dato al granduca il palazzo di Oranienbaum che era appartenuto a Mensikov e che durante la bella stagione gli permetteva di lasciare Pietroburgo dove viveva come un prigioniero di Stato, piuttosto che come erede al trono.

Sophie si era improvvisamente e gravemente ammalata e la madre voleva chiamare un pastore luterano, ma lei, luterana, chiese un prete greco-ortodosso e così avvenne la sua conversione e sposando Pietro (1745) prese il nome di Caterina Andreevna. Con il matrimonio i due seguivano le proprie occupazioni; mentre Pietro si tratteneva in compagnia dei suoi cortigiani e servitori tedeschi per giocare con i soldatini, Caterina sviluppava il suo intelletto leggendo Plutarco, le opere di Montesquieu e Voltaire e seguendo l’Enciclopedie che si pubblicava in Francia, volume per volume, arricchendo il suo sapere con il “Dictionaire historique et critique di Bayle, da essere poi in grado di mantenere la corrispondenza con gli Enciclopedisti francesi e di scrivere le Istruzioni (*) - non curandosi dei maltrattamenti dello sposo che la minacciava e probabilmente la picchiava.

Lei interrompeva gli studi con intere giornate passate a cavallo e a caccia di anitre  ... e dopo otto anni di casto matrimonio (era ancora granduchessa), scopriva i piaceri del sesso ai quali la iniziava il distinto ciambellano di Corte (unico degli amanti di Caterina appartenente a famiglia di vecchia nobiltà), Serghiei Vasil’evic Soltykov (come raccontano storici, riferisce  Gitermann, che non avevano niente di più serio da indagare; e noi, a cui, più delle guerre, piace l’accentuata sensualità delle donne di potere, per non essere accomunati a costoro, lo scriviamo tra parentesi; ne avevano contati ventuno, dei quali indicheremo solo quelli che emergeranno dagli avvenimenti ai quali faremo riferimento).

Caterina quando aveva iniziato il suo rapporto con Soltykov era vergine e non faceva ricorso ad alcuna precauzione; il motivo della sua verginità era dovuto a una imperfezione sessuale del granduca; egli si era dato  agli eccessi della tavola e una sera che tra commensali si parlava dei piaceri del sesso, Pietro  surriscaldato dal vino si era lamentato di non poterli godere in quanto lo affliggeva un difetto che gli dava dolore e gli impediva il rapporto.

Sergej Soltykov, a tavola con gli altri intimi, gli suggeriva di ricorrere all’intervento praticato dagli ebrei (la circoncisione) che gli avrebbe permesso di provare il piacere che provavano loro: ma il granduca mostrò una certa ripugnanza; i commensali appoggiavano Soltykov e una sera che Pietro aveva ecceduto nel bere e si era assopito   essi ripresero l’argomento  sui piaceri dell’amore e il granduca che li aveva sentiti, si rammaricava di non poter provare quello stesso piacere; allora, tutti i commensali si gettarono in ginocchio e lo scongiurarono di seguire il consiglio di Soltykov; Pietro sembrava scosso e pronunciò qualche parola di assenso; i cortigiani avevano preparato ogni cosa (compresa l’approvazione della zarina Elisabetta, informata di tutto) e fecero emtrare il famoso medico Boerhave con un abile chirurgo che eseguì l’intervento ben riuscito; Elisabetta informata, ne fu tanto soddisfatta da regalare a Soltykow un magnifico  diamante.

I cortigiani maligni incominciarono a subodorare qualcosa sul rapporto di Soltykow e Caterina che a fine estate di quell’anno (1754), nel mese di ottobre, partoriva il figlio Paolo, la cui  patenità era da attrìbuire a Soltykov e tutti i dubbi avanzati da  qualche storico non potevano essere che infondati.

Per di più, la zarina Elisabetta che aveva capito come stavano le cose, pur essendo,  come abbiamo visto, per proprio conto piuttosto dissoluta, era rigida sulla morale che gli altri dovevano osservare, provvide subito a mandar via dalla corte Soltykov mandandolo in missione diplomatica a Stoccolma e quando stava per rientare a Pietroburgo, mandava un corriere, con l’ordine di recarsi ad Amburgo come ministro plenipotenziario.

 

 

IL c.d. “CODICE”  OVVERO  “ISTRUZIONI PER IL CODICE”

 

*) Caterina aveva avuto una abbondante produzione letteraria; aveva infatti  scritto numerose opere drammatiche, articoli, riviste, schizzi satirici, racconti morali, drammi storici, ricerche storiche, oltre alla brillante corrispondenza con un notevole numero di personaggi russi e stranieri  e alla notevole attività legislativa.

Il problema di un “Codice” era emerso in quanto (D’Abrantes): I giudici non erano pagati e commettevano ogni sorta di vessazioni; essi inventavano dei crimini, creando dei colpevoli per ottenere le loro spoglie e trattare il prezzo del loro sangue; l'imperatrice mise ordine in questa parte della amministrazione dell'impero; i giudici furono pagati, il loro avvenire assicurato.

Caterina emanava un ukase per regolare i loro diritti, contenente le Instructions-Itruzioni di un Codice, scritto in francese e stampato in ventimila copie (è ben strano che la Biblioteque Nationale de France ne sia sfornita!) e distribuito in Europa con il plauso di Voltaire, D'Alambert e Diderot, ma, secondo altri (D’Abrantes) “questo Codice è una assurda compilazione, un bizzarro assemblaggio di idee filosofiche e nessun risultato che possa efficacemente servire alla vera gloria dell'impero”.

In esso Caterina riportava brani dell’ ”Esprit des lois” di Montesquieau  (che chiamava il suo libro di preghiere), “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, delle “Istitutions politiquesdi Jakob Friederik von Bielfield, il “De jus natura et gentium” di Samuel von Pufendorf, il “De jure bellis et pacis di Grozio.

Lei era ben consapevole che solo una piccola parte  potesse passare come  prodotto del suo pensiero e per questo scribveva a D’AlambertIo, per il bene del mio impero, abbia saccheggiato il presidente Montesquieu, senza nominarlo. Se egli dall’altro mondo vede il mio lavoro, spero che mi vorrà perdonare questo plagio, in considerazione del beneficio che ne verrà a venti milioni di uomini. Egli amò tanto l’umanità, che non giudicherà meschinamente. La sua opera è il mio libro di preghiere”.

Queste altre “Instructions” (trovate presso la Biblioteque National de France) erano per l’educazione dei due nipoti, Alessandro e Costantino, più esattamente:Instructions de S.M. l’imperatrice Catherine II a son altesse le marechal prince  de Soltykoff chargé par elle  de présidre à l’educatione des gran-duchs Alexandre et Constatin. Il testo stampaato da Neulan nel 1821 porta: Accompagné de plusieurs piéces y relatives et d’une esquisse sur la vie du prince Nicolas Soltykoff”),

 

 

 

PRIMI AMANTI DI

CATERINA  E

OSSERVAZIONI SU

POTEMKIN 

 

 

 

M

andato via Soltykov dalla Corte, Caterina non si perdette d’animo e lo sostituì con l’elegante conte Stanislav Poniatowski (*), appena giunto a Pietroburgo (1755), al quale in seguito Caterina, divenuta imperatrice gli assegnerà il trono di Polonia (*), che Stanislav perdette per incapacità; come amante fu sostituito da Gregorj Orloff al quale fu associato, nelle funzioni particolari, il fratello Alexis.

A sessantadue anni Caterina non aveva perso la sua carica erotica e il suo ultimo amante era stato Platon Zoubov di venticinque anni che lei amava trattare come un figlio e gli si era attaccata quasi morbosamente; costui era piuttosto evoluto nelle pratiche sessuali e aveva coinvolto due suoi amici, Valerien e un altro giovane Soltykov, Pierre, i quali  le avevano rinnovato le festicciole orgiastiche in ricordo di quelle che l’imperatrice aveva avuto ai tempi dei fratelli Orlov (Masson).

Caterina per questi amanti-favoriti, aveva fissato delle regole: Infatti, dopo che l’imperatrice aveva fatto la sua scelta, il favorito era subito creato aiutante di campo generale, in modo da poterla accompagnare dappertutto e gli veniva assegnato un appartamento che si trovava sotto quello dell’imperatrice, comunicante col suo per mezzo di una scalinata nascosta.

Il primo giorno della presa in servizio il favorito riceveva un regalo di centomila rubli e ogni mese ne trovava dodicimila sulla sua toilette. Il maresciallo della Corte era incaricato di tener pronta  una tavola con ventiquattro coperti e provvedere a tutte le spese correnti del favorito, il quale era obbligato ad accompagnarla dappertutto; egli non poteva uscire dal palazzo senza chiedere il permesso; né poteva avere rapporti con altre donne all’infuori di Caterina e se andava a cena da qualcuno dei suoi amici, la padrona non poteva rimanere in casa e doveva andar via.

Queste storie amorose avevano inizio con una cena; quando Caterina posava i suoi occhi su qualcuno, questo era invitato a cena; dalla conversazione Caterina capiva se fosse all’altezza della situazione e di ciò era avvertita la confidente del momento che comunicava il responso.

Una volta fatta la scelta la mattina seguente il favorito riceveva la visita del medico di Corte che accertava il suo stato di salute; dopo questa visita egli accompagnava l’imperatrice all’Ermitage dove prendeva possesso dell’appartamento (Castera ,Vie de  Catherine, Paris 1797).

Queste formalità ebbero inizio con Potemkin, e da quel momento furono sempre osservate: quando la storia finiva, il favorito riceveva l’ordine di fare un viaggio con lindicazione della destinazione; nel posto in cui si recava trovava ricompense degne dell’imperatrice.

Tra i tanti amanti avuti da Caterina, Grigorij Alexksandrovic Potemkin (1739-1791), il quinto, era probabilmente l’unico che lei avesse amato; egli aveva tutto nelle sue mani: la Corte, l’armata, la flotta, l’intero impero gli era sottomesso; nominava i ministri, i generali, i favoriti e li dismetteva a suo gradimento; dominava l’imperatrice, dettava le sue volontà con alterigia, ma sembrava nello stesso tempo di non respirare per servirla e il suo credito riceveva nuova forza.

Non possiamo nascondere che personaggi di questo livello lasciano allibiti chi si trova a descriverli, per la forte personalità da cui erano avvolti, che li rendeva  eccezionali e straordinari; e noi nella modestia del nostro essere, ne rimaniamo incamtati e affascinati.

Sono questi i personaggi che servendo i loro monarchi, fortunati per averli avuti per servirli, pensiamo a un Carlomagno, a Luigi XIV, a Elisabetta d’Inghilterra e alla stessa Caterina II, mentre non mettiamo nel novero  Pietro il Grande che era stato una eccezione ... per aver oscurato i suoi collaboratori facendo tutto da , ma aveva avuto dei buoni esecutori che realizzavano le sue idee (ndr.).

Di Potemkin il principe di Ligne (riferisce Capefigue) aveva detto che: Sono personaggi che alla loro morte sono difficili da rimpiazzare per la loro bella e facile intelligenza, il genio della Russia: Qual’è dunque la loro magia? La genialità, lo spirito naturale, una memoria eccellente, l’elevazione della loro anima, della malizia senza cattiveria, della scaltrezza senza astuzia, una grande generosità nelle ricompense, molto tatto, il talento nell’intuizione … e chi lo può sapere; e infine una perfetta conoscenza degli uomini. Si può dire che alla sua morte Caterina aveva perso qualcosa del suo prestigio e della sua grandezza. Potemkin era stato l’uomo della ambizioni della Russia del XVIII secolo.

La Russia in quel  periodo aveva un vicino scomodo, Federico il Grande, smanioso di conquiste, dal quale la zarina Elisabetta si era cautelata con un trattato stipulato all’inizio della Guerra dei sette anni (1756), con l’imperatrice Maria Teresa d’Austria;  la Russia aveva un buon esercito, con alcuni gravi difetti: da un lato i soldati erano i servi della gleba i quali erano abituati alla discipline con i loro padroni e non avevano grandi pretese alimentari per cui il loro nutrimento era a buon mercato; gli ufficiali erano i nobili padroni feudali, dai quali i soldati ricevevano i comandi, come nella vita civile.

Uno degli inconvenienti era costituito dai bagagli che i nobili ufficiali trasportavano per le loro comodità, che appesantivano e rallentavano notevolmente i movimenti dell’esercito: si trattava di migliaia di carri, il maresciallo Stepan Apraskin con un esercito di 83mila uomini, portava dietro un carico di seimila carri (questa cifra era di poco superiore alla norma che era di cinquemila carri dell’esercito di Carlo XII di Svezia) e il suo successore V.V. Fermor, con un esercito più piccolo ne contava trentamila (cifra ripetutamente controllata! ndr.), con enormi problemi di foraggio per i cavalli (il loro numero doveva essere sproporzionato se per i carri si contano un cavallo per carro se non erano due! ndr.), ai quali erano da aggiungere quelli dei soldati  che ne avevano due, di cui uno di riserva.

All’esercito si aggingeva la partecipazione dei liberi cosacchi  (che avevano il loro comando  Siec e la scuola di guerra nell’isola di Choritza, in territorio ucraino, ma cambiava spesso sede), i quali ricevevano un soldo mensile di dieci rubli e per antica tradizione eleggevano i loro comandanti (il Consiglio dei Capi costituiva il Rada),  per i loro ardimentosi attacchi, per le devastazioni e la loro ferocia godevano presso i nemici di una spaventosa reputazione.

 

 

 

 

*)  Poniatoski veniva eletto re nella Dieta tenutasi a Varsavia (1764) prendendo il nome di Stefano-Augusto, ma il suo regno fu contrassegnato da rivolte e da un tentativo di assasinio in quanto egli in Polonia voleva porre in essere la tolleranza con le altre due relogioni, l’ortodossa e la protestante, volendo fosse concessa libertà di culto ai non cristiani e che fpssero ammessi a ricoprire cariche pubbliche, come gli altri cittadini cristian. I rivoltosi si riunirono in una Confederazione, commettendo ogni sorta di crudeltà; il re Stefano e il Senato si rivolsero alla imperatrice Caterina che mandò l’esercito e fu ristabilito l’ordine; ma vi fu un seguito in quanto i rivoltosi (cattolici) si rivolsero alla Porta a Costantinopoli lamentando che la Russia era entrata nel regno polacco a mano armata, contro il tenore dei trattati ... chiedendo ai turchi di proteggerli! Per di più, nel 1771 stava per essere assassinato e rimase solo  ferito e nell’anno succeassivo (1772) la Russia, la Prussia e l’Austria si spartirono la Polonia alla quale Stefano si era  inutilmente opposto, ma molti polaccchi sospettavano che la favorisse segretamente;  Stefano infine abdicava nel 1795 e moriva l’anno seguente (1796).

Da Poniatovski Caterina aveva avuto una a bambina, Anna (1764), morta appena nata.

 

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Illustrazione di A. M. Gherasimov

 

 

I COSACCHI

NELLA DESCRIZONE DI

NIKOLAI GOGOL

 

 

I

l libro di Nikolai Gogol, “Taras Bul’ba (illustrato della Mondatori dal quale abbiamo preso, la riproduzione che pubblichiamo, – Ed. 1959), dedicato ai cosacchi (*), più che romanzo è considerato un poema epico  (Giorgio Kraisky) dal quale abbiamo preso la descrizione che ne fa Gogol.

Gogol racconta che abitavano  la parte meridionale della Russia devastata dalle incurrsioni dei mongoli del XVmo secolo  contro i quali una fiammata violenta aveva investito lo spirito slavo dei vecchi tempi e si era formato il cosacchismo, quel vasto, irresistibile slancio della natura russa, che aveva creato i cosacchi, che si erano stanziati sulle piagge scoscese lungo i corsi dei fiumi (Don e Dniepr); Saporag era il loro Stato franco e libera repubblica militare che i cosacchi avevano creato al di là delle rapide del Dniepr; il loro numero non si conosceva e quando il sultano turco voleva sapere quanti fossero, gli fu risposto: “Chi lo sa, da noi sono sparsi su tutte le steppesc’to bajrak to kosak – ovunque sia un piccolo rialzo di terreno, c’è un cosacco”.

“Dio vi conceda”  (nei cosacchi, come nei contadini russi era molto accentuato il senso religioso ndr) “di essere sempre fortunati, che possiate battere gli infedeli, battere i turchi e battere i tatari (**); e quamdo i ljachi (momignolo spregiativo con cui si designavano i polacchi) cominciassero a fare qualcosa contro la fede, battere anche i ljachi”.

Erano sotto il comando degli ataman, e seelti tra gli stessi cosacchi che trasformavano i campi trincerati e le borgate di capanne in reggimenti e regolari circoscrizioni militari.

Non era un corpo di esercito permanente, ma in caso di guerra, riscuotendo dal re solo un ducato di soldo, in due settimane si adunava un tale contingente di truppe, quale non sarebbe stato in grado di raccogliere qualsiasi reclutamento di leva.

Finita la spedizione, il guerriero si ritirava nei campi, nei prati e nei valichi del Dniepr, dedicandosi alla pesca, al commercio; fabbricava birra ed era libero cosacco. Non c’era un mestiere che un cosacco non conoscesse; distillare l’acquavite, allestire un barroccio, fabbricare la polvere per un fucile, impiantare un’officina di magnano (fabbro) o da falegnamee per giunta scorazzare alla impazzata, bere e cioncare era per lui un fardello leggero.

Oltre ai cosacchi iscritti al servizio che si consideravano obbligati a presentarsi in tempo di guerra, era possibile, in qualsiasi tempo e in caso di necessità, raccogliere intere masse di cavalleria volontaria, bastava che gli esaul (capitani cosacchi) andassero per mercati e per piazze di tutti i borghi, villaggi, e gridassero “Olà, voi altri, , birrai, acquavitai! Basta a cuocere la birra e dondolarvi attorno alla stufa e nutrire le mosche col vostro corpo ingrassato! Avanti a guadagnarvi la gloria dei cavalierie, l’onore. Voi aratori, mietitori di granturco, pastori di pecore, donanioli! Basta andar dietro all’aratro e imbrattarvi di terra gli stivali gialli e stare attorno alle donne e perdere la vostra forza cavalleresca!  E’ tempo di acquistare la gloria dei cosacchi”. E questa parole erano scintille cadute su un pezzo di legno secco. L’aratore rompeva il suo aratro, i fabbricanti di birra e di  acquavite fracassavano i caratelli, l’artigiano e il mercante mandavano al diavolo il mestiere e la bottega, rompevano in casa le pentole e a qualunque costo montavano a cavallo: in una parola il carattere russo ebbe in quel tempo un potente e largo slancio, una grande vigorosa espressione.

Il comando era afffidato al voivoda (governatore e capo delle truppe). Tra i cosacchi si distinguevano i saporigini che erano i giovani che non ancora avevano ricevuto il battesimo di fuoco.

Allora tutto il Mezzogiorno era una distesa che si estendeva fino al Mar Nero (Nuova Russia); era tutta una terra vergine, verde, dalla vegetazione selvaggia, non segnata dall’aratro; soltanto i cavalli, nascondendosi in essa come in una selva, la calpestavano: non poteva esistere in natura niente di più bello, tutta la superficie della terra si presentava come un oceano verde oro in cui sprizzzavano milioni di fiori variopinti:-  Che il diavolo vi porti, o steppe, come siete belle!

L’omicidio tra i cosacchi era punito seppellendo vivo in una fossa  l’omicida e sopra di lui si metteva la bara con l’ucciso. Fin qui la descrizione di Gogol.

I cosacchi erano probabilmente i resti mescolati di popolazioni che avevano occupato i vasti territori tra il Volga, il Tanais (Don) e il Mar Nero e il Borysthene (Dniepr), popolaaioni conosciute negli annali moscoviti come khosari e peceneghi, eterni nemici dei principi di Kiev (l’antica capitale della Russia e questa inizialmente limitata alla Ucraina stessa in seguito considerata Piccola Russia), comunque di origine slava.

Batti-khan e i mongoli li massacrarono al loro passaggio, tuttavia quelli che rimasero si mescolarono ai tatari verso il XIII secolo e condivisero le sorti dei russi asserviti dagli stessi conquistatori e senza dubbio durante questa lunga e crudele epoca familiarizzarono con la lingua russo-slava; dopo l’espulsione dei mongoli di cui avevano assorbito molte delle loro abitudini, rimasero nelle steppe creando una specie di  repubblica democratica e militare che formò  una barriera tra la Russia e i tatari nogais,  divenuti pericolosi per i khan della Crimea e gli zar di Mosca .

Verso la fine del ‘600 i cosacchi ucraini riconobbero la sovranità della Polonia e i cosacchi del Don-Tanais e quelli delle tribù che abitavano la riva destra del Borysthene-Dniepr si sottomisero alla Russia, quelli del Volga e dello Yaik rimasero ancora liberi. (C.F.P. Masson, Memoires sécrétes sur la Russie de Catherine II, Paris. 1859).

I cosacchi erano davvero tanti e prendevano il nome dai vari territori che occupavano; su di loro ebbero influenza i re polacchi in quanto la nobiltà polacca nella quale era diffuso un lusso sontuoso, assumeva come cacciatori e falconieri i cosacchi russi che abituandosi al modo di vivere dei loro padroni, disgustavano i loro commilitoni  che li consideravano “valletti dei signori polacchi”.

Quando i polacchi vollero ridurre in servitù i cosaccchi dell’Ucraina, essi abbandonarono il paese e si recarono in un posto isolato nella contrada delle cateratte del Borysthene-Dniepr che fu denominato “Setcha e presero il nome di “Zaporoski o “Zaporavi, comandati da un “atman”; le loro case erano con le porte senza chiavi in quanto i ladri finivano attaccati a un palo  con un fiasco di acquavite e una mazza e chiunque passasse beneva un poco di quel liquore e ne dava anche al ladro, ma poi lo colpiva anche con un colpo di mazza; il castigo durava fino alla restituzione del furto; alle punizioni provvedevano i magistrati nominati in assemblea.

Inizialmente i cosacchi vivevano di caccia e pesca e costituivano una barriera contro i tatari della Crimea, ma quando incominciarono a coltivare i campi di cui si appropriavano e i russi si lamentavano che gli toglievano la terra, furono mandati dei commissari per esaminare la questioe, dando ragione ai russi.

I cosacchi quindi,  mandarono una delegazione all’imperatrice Caterina, a capo della quale era un vecchio di settant’anni il quale le disse: - “Madre; veniamo a chiederti giustizia; alcuni dei tuoi sudditi vogliono toglierci la terra che coltiviamo, considera che possiamo unirci ai tatari nostri fratelli”; l’imperatrice che aveva bisogno di loro, rispose che potevano contare sulla sua giustizia.

Ma qualche tempo dopo, essendo scoppiata la guerra tra russi e turchi e dovendo le  truppe russe recarsi in Crimea, essendo prive di mezzi di trasporto e di viveri, credettero di poterli esigere dai cosacchi e si rivolsero0 all’atman che si dicceva possedesse centomila cavalli di razza tatara e turca e due milioni di rubli, il quale rifiutò sia i cavalli che il denaro.

L’atman fu arrestato come ribelle che aveva intelligenza  con i tatari del Kuban e con i cosacchi che sostenevano Pugascev (che si faceva passare per Pietro III, v. sotto); per questo motivo i cosacchi Zaporavi si rivoltarono contro i russi e mandarono una deputazione da Caterina, la quale, avendo bisogno di loro, non prese nessun porovvedimento punitivo; ma, finita la guerra, fu mandato l’esercito con il generale Tekeli che si impadroniva della Setcha e  la distruggeva  (1774).

Nei paragrafi seguenti parliamoo di alcuni  dei grandi capi cosacchi e delle loro ribellioni.    

 

 

 

*) Taras Bul’ba aveva partecipato con altri capi cosacchi ucraini del Don, come Kosinskij, Nalivaij ed altri, alle ribellioni contro i polacchi; la causa del conflito era determinata dalla circostanza che gli aristocratici polacchi o russi polonizzati, praticvano una politica di colonizzazione per piegare la resistenza della martoriata popolazione ucraina, sotto il giogo della servitù della gleba e di mungerla finanziariamente; una parte dei cosacchi oppose  resistenza a questi tentativi di asservimento; altri si arruolavano come mercenari dei polacchi e ricevendo terre in beneficio, si allontanavano dalle tradizioni cosacche.

I polacchi, per non attirare su di sé l’odio degli oppressi, si servivano di amministratori ebrei dai quali facevano risuotere le imposte o tributi e i diritti ecclesiastici.

Nel 1638 truppe polacche inflissero ai cosacchi una grave sconfitta; dopo aver occupato il paese e soppressa la loro autonomia, un gran numero di essi furono mandati al patibolo e quelli che rimasero furono ridotti a  una misera esistenza.

**) Il nome era “tataro” ma gli occidentali li identificavano con i diavoli infernali del Tartaro e li chiamavano “tartari”. 

 

 

 

LE RIBERLLIONI

DEI CAPI COSACCHI:

 

 STEPANOVIC MAZEPPA

 

(nella trascrizione dei termini e  nomi russi si sono

usate le lettere dell’alfabeto italiano senza i vari accenti )

 

 

L

a storia di Ivan Stepanovic Mazeppa o Mazepa, (1639/1645-1709?), era stata così originale da essere divenuta leggendaria e aver ispirato opere letterarie (Byron, e Victor Hugo), drammi (Juliusz Slowacki e Poltava di Puskin) e musicali (Chaikoskj e Listz con critica al suo poema sinfonico da parte di Debussy: si veda il prezioso Dizionario delle Opere di Bompiani).

La leggenda era nata dal fatto che Mazeppa, giovane e bello, aveva successo con le donne e tra le sue avventure amorose era incappato in un marito geloso che si era vendicato facendolo denudare e, legato su un cavallo indomito, lo aveva lasciato correrere all’impazzata per la campagna; Mazeppa fu trovato mezzo morto dai cosacchi che lo portarono in Ucraina dove lo curarono e lui una volta guarito, rimase con loro.

Secondo gli usi del tempo, i figli dei nobili facevano i paggi presso la Corte dei re (v. in Articoli, Corone, blasoni e nobiltà) e Mazeppa, nato da famiglia nobile in Podolia (Ucraina, considerata Piccola Russia), aveva fatto il paggio presso la Corte del re di Polonia Gian Casimiro V.

Tralasciando altre storie di seduzione come quella della moglie del voivoda, marito geloso di Amelia, che doveva sopportare l’amore del figliastro (che si era  scontrato in un duello con Mazeppa), nei confronti della matrigna; di Amelia se n’era innamorato anche il re; Mazeppa aveva saputo che il re voleva rapirla e volendo mandare a monte il rapimento, si era nascosto nell’alcova; sorpreso dal voivoda che lo riteneva amante della moglie, gli costruiva intorno un muro, seppellendolo vivo ... ma sarà il re a liberarlo e il voivoda per punizione è condannato ad esser legato su un cavallo infuriato che lo ridurrà in fin di vita.

Mazeppa, stando con in cosacchi, era divenuto aiutante di campo dell’atman Ivan Samoilovitz e quando questo fu deposto e mandato a Mosca per tradimento, i cosacchi lo elessero atman.

Mazeppa aveva una segreta avversione per Pietro I di Russia e molta stima per Carlo XII di Svezia  e per vent’anni  aveva dissimulato questi suoi sentimenti pur avendo ricevuto da Pietro I, la Croce di S. Andrea e il grado di consigliere privato dello zar, per aver reso servigi alla Russia, specialmente all’assedio di Azof.

Egli aspettava comunque l’occasione favorevole per rendersi indipendente; era generoso di liberalità verso  i suoi e molto religioso, provvedeva alla fondazione di chiese.

Aveva accordi segreti con il re di Svezia in base ai quali nel caso il re fosse entrato in Ucraina unendosi ai cosacchi, lo avrebbe rifornito di viveri e munizioni; un cosacco di nome Kochubé, lo aveva tradito presso lo zar, il quale però non gli aveva creduto  e consegnato il delatore a Mazeppa, fu ucciso a colpi di martello, secondo l’usanza cosacca riservata ai traditori.

Mazeppa sognava una republica cosacca indipendente e in quel periodo gli svedesi e i polacchi avevano tentato di metterlo a capo di una insurrezione contro Mosca; ma Mazeppa non aveva accettato per poter continuare a fare il doppio gioco, e mentre aveva dato allo zar Pietro I la sicurezza della sua lealtà, aveva instaurato (1706) rapporti con il re di Polonia, Stanislaw Lescynski; questo  suo tradimento era stato denunciato allo zar che non aveva prestato fede all’accusa; denunciato una seconda volta, la scampò anche questa volta, facendo mandare al patibolo i suoi due accusatori.

Quando Carlo XII di Svezia invadeva l’Ucraina, Mazeppa gli aveva dato assicurazione che avrebbe messo a sua disposizione un esercito di trentamila uomini.

Il principe Mensikov aveva scritto allo zar che Mazeppa lo stava tradendo, lo zar ne era rimasto sorpreso, ma sapendo che la popolazione ucraina si sentiva angustiata dai cosacchi, aveva emanato un manifesto in cui accusava Mazeppa di apostasia della religione ortodossa e oppressione della Piccola Russia (Ucraina); Mazeppa a sua volta emetteva un manifesto in cui accusava lo zar di tirannide e affermava che solo il re di Svezia poteva preservare la Piccola Russia dalla devastazioe e dalla privazione dei suoi diritti.

Sebbene questa propaganda non fosse stata accolta dai cosacchi, Mazeppa quando si era recato da Carlo XII, era riuscito a portare con sé solo tremila  cavalieri invece dei trentamila promessi; lo zar, dal suo canto aveva dato a Mensikov l’incarico di occupare la sua residenza, che si trovava nella città di Baturin.

Il principe  recatosi a Baturin, dopo aver preso il tesoro di Mazeppa e aver impiccato, impalato e arrotato  molti dei suoi seguaci, rase al suolo la città (1708), bruciando i magazzini colmi di viveri preparati per gli svedesi.

Mazeppa era invecchiato ed era stato sostituito da un nuovo atman, Giovanni Skoropdjhi; dopo qualche anno dalla battaglia di Poltava nella quale aveva combattuto per il re di Svezia, moriva all’età di sett’antanni (come scrive Voltaire nel suo “Charles XII roi de Suéde senza indicare alcuna data).

L’inverno dell’anno successivo (1709) fu il più freddo di tutto il secolo, tanto “che gli uccelli cadevano morti al suolo”, e tra i due eserciti vi era stata una tregua di breve durata e i combattimenti ripresero a febbraio; gli Svedesi subirono numerose perdite, con i medici militari impegnati ad amputare le membra congelate e la perdita di cavalli fu tale, che essi potettero tenere solo quattro cannoni.

Carlo XII nella prinavera ebbe l’idea di assediare la città di Poltava sul Vorskla, centro del commercio dei cosacchi Zaporavi, contro il parere dei suoi consiglieri, in quanto privo di munizioni e cannoni; la città resistette all’assedio che andò per le lunghe, mentre Pietro I ebbe il tempo di raccogliere forze sufficienti per affrontare gli svedesi.

A giugno (1709) ebbe luogo la battaglia decisiva con un esercito di settantamila uomini;  Pietro I, tra morti e prigionieri, distrusse la metà  dell’essercito svedese e lo stesso re Carlo XII rimase ferito e andò a trovare rifugio nella città turca di Bender ospite del pascià, mentre Pietro I aveva avuto il cappello traforato da una palla di fucile e una ne fu trovata nella sella del suo cavallo e i russi avevano avuto millequattrocentocinquanta morti e tremiladuecento feriti.

Con questa vittoria cessava la posizione di grande potenza acquistata dalla Svezia con Gustavo Adolfo (1594-1632) mentre l’Europa era stata abbagliata dalle vittorie di Carlo XII (1682-1718); la Russia si assicurava lo sbocco sul Baltico e definitivamente il territorio di Pietroburgo (tutto paludi e acquitrini che Pietro I bonificava per costruire la nuova città); ma le guerre continuarono fino al trattato di pace di Nystad (1721) col quale lo zar si assicurava la Livonia, l’Estonia, l’Ingria, mentre restuituiva alla Svezia la Finlandia e per i territori annessi versava due milioni di talleri.

La Russia divenne a tutti gli effetti una potenza e dall’originario titolo di granduca di Moscovia, lo zar Pietro il Grande fu riconosciuto dal suo Senato padre della patria e imperatore, titolo successivamente riconosciuto da tutte le altre potenze occidentali.

 

 

 

STENKA RAZIN

IL RIVOLUZIONARIO

 PREDONE

 

 

S

ten’ka Razin (1630-1671), è l’esempio di rivoluzionario-predone del quale i contadini conservavano il ricordo di numerose leggende; si proponeva di saccheggiare le località turche del Mar Nero (1667), non essendovi riuscito, nel risalire il Don, depredava le case di cosacchi ricchi e in un’isola del Don fondava una cittadina fortificata  Kagal’iik, dove si spartiva il bottino  ed erano concesse le licenze ai cosacchi che andavano a visitare i parenti.

Presso i cosacchi vi era l’usanza in base alla quale, quelli che rimanevano a casa fornissero di vettovaglie quelli che partivano e costoro, quando tornavano li ripagavano con il bottino; impressionati dalla quantità di tesori saccheggiati, erano molti coloro che si schieravano dalla parte di Razin.

Nell’impero russo, come abbiamo visto, vi era una struttura interna non molto solida con una massa di individui di vartia origine che si spostava continuamente: si trattava di contadini spinti a  fuggire nelle steppe o nelle foreste a causa del servaggio feudale, dal peso delle prestazioni feudali, dai canoni, dalle estorsioni dei funzionari e dal sadismo dei signori molti di costoro trovavano rifugio presso di lui.

Le autorità di Mosca non avevano subodorato il pericolo e non avevano preso contro di lui alcun provvedimento, ma la sua comunità si ingrandiva fino a costituire una repubblica di predoni che fu divisa in centurie e decurie, di cui egli era l’ataman; dopo aver costituito un altro campo sul Volga, attaccando navi di passaggio, venne in possesso di una nave che trasportava prigionieri, che fece liberare, mentre si  appropriava del carico di merci e cereali trasportati dalle altre;  molti dei prigionieri liberati si unirono a Razin che disponeva di trentacinque navi e millecinquecento uomini.

Lo zar Aleksej gli inviava una lettera ammonendolo a desistere dalla ribellione e Razin rispondeva evasivamente; ma giunse a saccheggiare la costa del Dagestan e distruggere la città di Derbend appartenente allo scià di Persia dove si impossessava della figlia del khan, che divenne sua amante.

Aveva raggiunto Astrakan (1669), da dove improvvisamente scriveva allo zar chiedendo perdono e depositando il suo bunciuk (il bastone di comando dei capi cosacchi, ornato con una coda di cavallo) e tutte le sue bandiere, assicurando che avrebbe consegnato anche i cannoni, di cui era provvisto  e liberato i prigionieri.

Durante un viaggio di piacere sul Volga, afferrata la pricipessa sua amante, piena di gioielli la gettò in acqua, gridando: “Prendi, madre (il nome in russo del fiume è femminile) Volga . Tu mi hai dato  argento e oro e ricchezze di ogni specie e mi hai coperto di onore e gloria e io non ti avevo ancora ringraziato”.

Quando giunse il decreto di grazia dello zar (1660) non lo accettò, rifiutando qualsiasi riconciliazione, ma, l’anno sguente Razin  fu fatto prigioniero da cosacchi fedeli al governo; sopportò le più orribili torture senza che avessero potuto strappargli alcuna dichiarazione; morì  (1671) squartato, come aveva disposto la sentenza di codanna   (Gitermann).  

 

 

IL POCO AMATO

 E TEMUTO

ERMELJAN PUGASCEV

 

 

E

rmeljan Pugascev (leggi Pugasceff, 1740-1775) che vediamo riprodotto in un ritratto anonimo, dai tipici caratteri somatici del contadino russo, era un poco amato e temuto cosacco del Don, analfafabeta, dotato di ammirevole sangue freddo; all’inizio della sua rivolta (1772) si faceva passare per il defunto (1762)  Pietro III, pur non avendo alcuna somiglianza con lo sfortunato marito di Caterina II, del quale si raccontava la leggenda che intendesse abolire la servitù.

La rivolta prese vita tra i cosacchi del fiume Jaik (che Caterina per cancellare il ricordo della “pugaceviscina” (il sogno di Pugascev), aveva poi ribattezzato Ural, alla quale, nel suo propagarsi, aderirono  contadini, operai e  cosacchi poveri (*).

Nell’impero russo, come già abbiamo detto, vi era una struttura interna non molto solida con una massa di individui di varia origine che si spostava continuamente: si trattava di contadini spinti a  fuggire nelle steppe o nelle foreste a causa del servaggio feudale, dal peso delle prestazioni feudali, dai canoni, dalle estorsioni dei funzionari e dal sadismo dei signori.

In proposito si era venuti a conoscenza del sadismo di una nobile dama, Darja Soltykova, attraverso il processo a cui era stata sottoposta.

Essa infliggeva personalmente torture ai servi e alle serve, con tenaglie arroventate, acqua bollente e faceva frustare (**) i suoi dipendenti, tra cui donne incinte, nobiltà; condannata ad essere chiusa in convento, ciò non le impedì di avere un soldato come amante (Gitermann). Mentre di una principessa Kozlovsky si diceva che faceva frustare i suoi servi, nudi e legati, da ragazze, ai genitali.

Di rivolte di cosacchi, contadini e operai (descritte da Andrej Bolotov), come abbiamo visto, ve n’erano state ben altre; nella parte meridionale della Russia si era formato un proletariato cosacco (golit’ba, popolo povero, nudo), dal quale si  reclutavano bande di predoni e pirati che si aggiravano  intorno al Mar Nero, ma dopo che i turchi avevano costruito la fortezza di Azov (1660) e sbarrato la foce del Don con  catene da riva a riva, questi  cosacchi erano stai costretti a trasferirisi verso il mar Caspio sulle rive del Volga.

All’odio di classe dei contadini per i signori feudali, si mescolava il malcontento dei lavoratori delle miniere e delle popolazioni locali (tatari, mordvini, cinvasci e soprattutto baschkiri) che erano stati spogliati delle loro terre; il malcontento serpeggiava anche, come detto, tra i cosacchi poveri.

Ma l’anno successivo i rivoltosi risalendo  lo Jiaik ottennero un successo; Pugascev intendeva portare la rivolta al centro dell’impero e con i suoi appelli e proclami vedeva accorrere  una gran quantità di servi, operai degli Urali e baskiri (di religione musulmana): la parola d’ordine era morte ai nobili, abolizione della servitù, tolleranza religiosa.

I cosacchi, come abbiamo visto, e i contadini erano molto legati alla religione e Pugascev c i cosacchi dello Jaik appartenevano alla setta  dei Vecchi credenti; Pugascev sapeva toccare i sentimenti degli umili e oppressi, prospettando un mondo in cui avrebbe regnato l’uguaglianza e la felicità; sconfitti (1774) dalle truppe del principe Golicyn, molti rivoltosi continuarono, raggiungendo e conquistando la città di Kazan ma furono a loro volta raggiunti dalle truppe imperiali e messi in rotta; Pugascev fuggì con alcuni compagni ma fu tradito e consegnato ai russi che lo decapitarono assieme a tre seguaci (1775) (***).

 

 

*)   Storia Universale, Utet.

**)  L’uso della frusta in Russia era prevista anche all’interno delle famiglie; nel  Domostroj”, trattato russo del XVI sec. sul modo di governare la famiglia e la casa, citato da Turgenev nel romanzo “Padri e figli”, al padrone di casa era riconsiosciuto il diritto di castigare con la frusta moglie e figli.

***) Lineamenti di Storia dell’URSS a cura di N. Nosov, R. Ganelin e D. Lichacev Ed.1980)

 

           

LA RIVOLTA

DI CATERINA II  

CONTRO PIETRO III

 E LA

SUA ELIMINAZIONE

 

 

A

biamo visto quale disastrosa personalità fosse venuta fuori dalla educazione impartita al granduca Pietro; alla morte di Elisabetta, salito frettolosamente sul trono col nome di Pietro III, fece ritirare l’esercito dai territori occupati in Prussia: per questa decisione, gli ufficiali se ne senrirono offesi, i soldati mormoravano ma Federico felice scriveva “L’imperatore russo è un uomo divino al quale io debbo erigere altari”.

Ciò che meraviglia è che nonostante fosse ritenuto mentalmente disagiato, non appena salito al trono egli aveva assunto con lucidità le redini del potere,  assumendo iniziative che non potevano essere considerate da poco, anche se costituivano dei passi indietro rispetto a provvedimenti presi da Pietro il Grande, o, in alcuni casi, prendendo provvedimenti non molto equilibrati che avevano suscitato risentomenti nei suoi confronti.

Aveva infatti, emeesso degli ukaze, con cui aveva fatto rientrare molti esiliati come Münnich, Biron, la Lopukina e altri, condannati dai precedenti governi; relativamente ai nobili, che costituivano la forza che all’epoca sosteneva zar o  zarine, annullava le disposizioni coercitive emanate da Pietro il Grande e (su suggerimento della nobiltà) affrancava la nobiltà dall’obbligo del servizio militare o dell’amministrazione statale, permettendo loro di recarsi all’estero e mettersi al servizio di principi stranieri.

Il provvedimento auspicava comunque che i nobili dovessero mettersi  spontaneamente a disposizione dello Stato e curassero in particolare l’educazione dei figli e si può immaginare come la nobltà avesse potuto  gradire un simile provvedimento!

Con altro provvedimento (1762) Pietro III aboliva la Cancelleria degli affari segreti istituita da Pietro il Grande, mentre con l’intento di unificare la Russia e in particolare la Siberia, disponeva  la tolleranza religiosa e coloro che praticavano l’antica fede “raskol’nikiche si erano rifugiati all’estero e in particolare in Polonia, erano invitati a rientrare con la promessa di fornire loro terre e concedere  piena libertà religiosa; speciali organi amministrativi ebbero l’incarico di proteggere i vecchi credenti dagli attacchi della Chiesa ortodossa.

Educato alla maniera tedesca, Pietro III non si curava del sentimento religioso dei sudditi e vivo malcontento aveva suscitato il suo tentativo di sopprimere le chiese private dei nobili, i quali  risparmiavano sulla osservanza delle disposizioni religiose da parte dei contadini, in quanto mantenevano il digiuno da 182 a 250 giorni durante l’anno!

Per la sua passione per i soldatini, aveva fatto cambiare la divisa all’esercito adottando la divisa prussiana, introducendo nelle caserme la disciplina prussiana e, peggio, aveva nominato lo zio tedesco Georg von Holstein capo dell’esercito, e per colmo, aveva offeso la Guardia imperiale paragonandola ai giannizzeri e aveva offeso i vecchi ufficiali, organizzando ridicole esercitazioni militari ...  e così determinava  il suo destino!

Maturava su questi presupposti, tra i  suoi i nemici, la congiura di palazzo (1762); essi si coalizzarono attorno a Grigorij Orlov, uno degli amanti di Caterina.

I fratelli erano cinque, Grigorij, Alekseij e Phedor, erano stati amanti di Caterina, gli altri due erano, Wolodomir e Ivan il più giovane; la loro ricchezza nel periodo di favore dell’imperatrice, calcolata in oro, pietre preziose e doni insensati, ammontava a diciassette milioni di rubli e possedevano quarantacinquemila anime; le entrate della Russia ammontavano a quarantadue milioni di rubli!

Grigorij era molto popolare tra la Guardia imperiale, brillante cavaliere e spadaccino; da Grigorij Caterina aveva avuto un figlio, a lei somigliante, al quale era stato dato il nome di Basile Grigorovich Bobrinsky, allevato nel corpo dei cadetti; l’altro fratello, Alekseij, aveva la forza di un Ercole e la taglia di un Golia;  aveva riportato una vittoria nella battaglia di Tchesmé e aveva ricevuto il soprannome di Tchesminsky; Alekseij era superiore ai fratelli per avere una grande sottigliezza di spirito e il suo giudizio era rapido, certo e sintetico.

Correvano voci che lo zar avesse disposto l’arresto di Caterina che si trovava a Peterhof per festeggiare l’onomastico del marito, per rinchiuderla in convento e sposare l’amante Elisabetta Voronstova.

Sotto pretesto che il palazzo dovesse essere ripulito, Caterina aveva preso alloggio nel padiglione “Mon plaisir” dove non vi erano sentinelle; la mattina del 28 giugno, mentre Caterina dormiva, entrava nella sua camera Alekseij Orlov che le disse che un loro amico, Nikolai Passek, era stato arrestato e  non vi era tempo da perdere.

Ambedue si recarono a Pietroburgo in carrozza presso il reggimento Ismailov i cui soldati appoggiavano Caterina, i quali gettate le nuove uniformi e riprese quelle che avevano sotto Elisabetta, dopo aver baciato le mani, i piedi e l’orlo del vestito di Caterina, tirato fuori un cappellano militare, tutto il reggimento proclamò Caterina II sovrana della Russia, prestandole davanti alla croce, il giuramento di fedeltà.

Recatasi con la sua carrozza presso il reggimento Semenov, fu confermata la proclamazione seguita da quella del reggimento Preobrazenskij, dove si trovava la Guardia imperiale e l’artiglieria.

A poco a poco si unirono i dignitari di Corte e nella cattedrale di Kazan fu celebrato il servizio divino e Caterina fu dichiarata imperatrice di tutta la Russia e suo figlio Petrovich, erede al trono; seguirono nel nuovo Palazzo d’Inverno il giuramento del Senato e del Sinodo (*). I tipografi, in precedenza preavvertiti, emanarono un manifesto (certamente già compilato dal clero ortodosso! ndr,), distribuito alla folla,  in cui si diceva che Caterina, obbedendo al palese e onesto desiderio di tutti i fedeli sudditi, era salita al trono per tutelare la Chiesa ortodossa messa in pericolo (da Pietro III! ndr.), l’onore dell’esercito e l’ordine interno del paese (Fonti cit. giugno-luglio 1762).

Pietro senza sospettare alcunchè, si era recoto a Peterhof con Elisabetta Vorontsova e numeroso seguito, con l‘intenzione di ripudiare Caterina il 29 giugno, giorno del suo onomastico.

Rimanendo turbato nel non trovarla nel padiglione “Mon plaisir”,  dalla  servitù apprese che si era recata a Pietroburgo e, senza avere alcun sosspetto di ciò che stesse succedendo, mandò dei dignitari tra i quali il cancelliere Vorontsov, per richiamarla.

Nel frattempo, però, resosi conto della gravità della situazione, Pietro, con una galea si recava alla fortezza dell’isola di Kronstadt dove poteva opporre resistenza, ma dopo essere stato minacciato che la sua nave sarebbe stata presa a cannonate,  dovette tornarsene a Oranienbaum.

Caterina si trovava a Peterhof al comando della truppa, a cavallo con la vecchia uniforme della Guardia e una fronda di quercia sul cappello, mandava alcuni reparti a Peterhof ad arrestare Pietro, al quale fu presentato il documento di abdicazione che egli firmò e fu portato a Peterhof.

Pietro si comportava senza dignità, come aveva fatto in precedenza, chiedendo di poter avere il suo violino, il cane, il suo moro Narciso e la signorina Voronstova; la signorina fu mandata a Mosca e fatta sposare; Pietro fu  mandato in una delle sue tenute a Ropsa; il 30 giugno Caterina faceva il suo trionfante ingresso a Mosca. Durante i festeggiamenti i soldati persero il freno e diedero mano a tutto ciò che si poteva bere nelle cantine, tra birra, vodca, idromele, champagne e vini costosi (i proprietari dopo un processo furono indennizzati con 24.331 rubli.

I fratelli Orlov alla vigilia del suo onomastico (1762)  avevano portato Pietro III a Peterhof e qualche settimana dopo sbarazzavano Caterina dal peso del marito. Durante una lite Alekseij Orlov lo strangolava e con una lettera inviata a Caterin, mentre si lamentava  chela disgrazia era avvenuta e non si sapeva come avesse potuto succedere,  le chiedeva perdono per amore del fratello Grigoij (in cit. Fonti).

La Russia poteva ritirarsi dalla guerra dei sette anni; i fratelli Orlov furono più che perdonati ... con l’assegnazione a ciascuno di essi di ottocento anime oltre a somme dl  danaro da 10 a 24mila rubli e rendite (il tutto per un valore di un milione di rubli), oltre alla promozione per Aleksej a maggiore e per Feodor a capitano.

Caterina si astenne dalle punizioni nei confronti dei sostenitori di Pietro e tutti i funzionari che gli erano stati vicini furono congedati o trasferiti; i suoi parenti rimandati nell’Holstein; la morte di Pietro III fu giustificata con una improvvisa colica acuta;  il suo corpo fu sepolto nel monastero di Nevskij, senza onoranze.  

Ora, chi doveva succedergli, sarebbe stato lo sfortunato figli0, o che passava per tale, Paolo-Petrovich il quale non somigliava né al padre né alla madre che lo aveva allontanato e qualche storico ritiene pure che per lungo tempo avesse pensato di disfarsene.

Paolo e si trovava nella situazione di essere respinto dal padre e detestato dalla madre che non lo poteva sopportare (è stato anche detto che l’odio che aveva per lui era una prova che fosse figlio di Pietro, ma non si può ritenere che un simile sentimento potesse costituire una prova, e valga ciò che abbiamo detto in proposito!).

Paolo era stato affidato alle cure del conte Panin, si era dedicato allo studio delle scienze  con il fisico Franz Urlich Teodor Aepinus, chiamato a Pietroburgo; viveva ritirato con la seconda moglie (nipote di Federico Il Grande) che gli aveva dato dieci figli;  privati dei figli, consegnati a Corte, dove erano educati e poiché la madre, prima di vederli passavano mesi, ambedue si  erano dati ai viagi presso le Corti d’Europa sotto il nome di conte e contessa del Nord, recandosi a Varsavia,  Roma, Napoli, Amsterdam e infine in Francia accolti con feste a Versailles, al palazzo del Lussembourg presso il conte di Provenza.

Paolo si era legato in amicizia con il principe di Condé che organizzava feste in suo onore a Chantilly e cacce con cinquecento coppie di cani; al ritorno Paolo dopo essere stato abbagliato dallo splendore francese, rivedeva  con tristezza la Russia come l’aveva lasciata Caterina II e Potemkin.

 

 

IL GRANDE POTEMKIN

COGLIE COME UN FIORE

 LA LEGGENDARIA TAURIDE

 DONANOLA

ALL’ IMPERATRICE

 

 

L

a Crimea era la leggendaria Tauride menzionata nella tragedia di Euripide,        Ifigenia in Tauride”, in cui  si raccontava che Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, doveva essere sacrificata alla dea Artemide, in quanto le navi che dovevano partire per la guerra di Troia erano ferme in Aulide, per mancanza del vento; Ifigenia, chiamata dal padre, col pretesto di dover sposare Achille, era già sull’altare quando la dea, impietosita, la sottrasse alla morte sostituendola con una cerva e mandandola in Tauride per diventare sacerdotessa; quivi il barbaro re Toante aveva disposto che tutti i greci che vi sbarcavano, dovevano essere sacrificati e a questo compito era preposta Ifigenia.

Tra i greci sbarcati si trovavano i suoi fratelli Oreste e Pilade, che lei non conosceva, mandati in Tauride dall’Oracolo di Delfi a cercare la statua di Artemide, che dovevano rubare.

La tragedia prosegue, con le diverse varianti della leggenda, i cui fantastici intrecci, e le implicazioni dei vari stati d’animo, che i tre grandi tragediografi (Eschilo, Sofocle ed Euripide) daranno ai personaggi delle loro opere, anticipando di oltre duemila anni la psicanalisi di Freud.

I tentativi di Pietro il Grande per strappare la Crimea ai turchi, non erano andati a buon fine; dove non era riuscito Pietro I riuscirà Caterina II con un colpo di  fortuna.

Tralasciando i particolari degli scontri tra russi e turchi (negli anni 1770, 71,72 e 73), un formidabile spiegamento di tre armate di ottantantamila uomini sotto il comando generale di Potemkin e una armata sotto il comando di Romanzov (Nikolai Petrovich Rumyantsev amante di Caterina) e l'altra del generale Nikolai Ivanovich Panin, oltre a dieci vascelli che dal Baltico passarono al Mediterraneo, ebbe l’effetto di ottenere la vittoria, senza combattere e Caterina si vide sovrana di centocinquantamila abitanti della Crimea senza che fosse stato versata una goccia di sangue.

Questo fu il periodo in cui Caterina, padrona della Crimea e del Kuban (che divenne Caucaso), si sentì veramente grande: ma a chi lo doveva? A Potemkin al quale diede il nome di “Tavristscheskiche(il Tauride,l’Uomo della Tauride); e con un ukase diede alla Crimea il suo antico nome di Tauride.

Il Gran Visir che aveva sotto il suo comando dell’armata turca tre bascià e quattro bascià subalterni, gli fece tagliare la testa considerandoli rei delle perdite territoriali subite; ma poco dopo anche il gran visir fu deposto e perdette anch'egli la testa; così furono liberate dai turchi le rive e la foce del Danubio con le città di Ismail e Kilia Nuova e nel 1773 Romanzoff inferse un'altra sconfitta giungendo fino alle porte di Sofia e nel seguente 1774 conquistate le piazze di Silistria e Varna, il visir chiese un armistizio;  ma Romanzoff non lo concesse per cui i turchi furono costretti a firmare il trattato di Kainardgi (1774) col quale “l’impero russo tratteneva per se le fortezze  di Kertsc e Jenicalé con i loro distretti e porti e tutte le città, fortezze, abitazioni, terre e porti, territori nella Crimea e nel Kuban conquistati, con l’ isola di Taman.

Il trattato prevedeva inoltre che i popoli tatari della Penisola di Crimea o Piccola Tartaria, o Tartaria Europea, Kuban, Bessarabia ecc. saranno vicendevolmente riconosciuti dagli imperi russo e ottomano, liberi e indipendenti da qualunque potenza e sotto l’immediata obbedienza del loro kan, il quale governerà secondo le loro leggi; perciò in nessun caso le due potenze potranno intromettersi nell’elezione e stabilimento del kan né negli affari interni in modo da considerare la nazione tatara, Stato, secondo le norme delle altre Potenze; con il trattato la imperatrice restituiva alla Crimea terre, città e porti conquistati. 

Per quanto atteneva alla religione il Sultano rimaneva capo dei musulmani e la fulgida Porta prometteva una costante protezione della religione cristiana e delle Chiese  dove essa veniva praticata.

Quale era stato il colpo di fortuna della zarina di ottenere pacificamente i territori?

La Crimea era costituita in kanato retto dalla dinastia dei Gueray, al momento da Devolet Gueray il quale a seguito di una rivolta lasciava il trono al fratello Sahim Gueray il quale voleva introdurre nel Paese e presso la Corte i costumi europei, non accettati dal popolo e dall’esercito in quanto prevedevano il taglio della barba al quale i musulmani erano legati per motivi religiosi e da parte dell’esercito, in quanto Sahim intendeva impostarlo alla maniera europea.

In aiuto del khan si era presentato l’onnipresente Potemkin con l’esercito e Sabin temendo di essere trucidato si ritirava nella città di Kherson (Kherson Nuova appena costruita ex novo da Potemkin), facendo formale cessione alla imperatrice (1783),  di tutti i suoi Stati e Domini (Crimea e Kuban con il fiume dello stesso nome che segnava il confine).

 

 

IL MERAVIGIOSO PALAZZO

 DI POTEMKIN

DETTO “DI TAURIDE”

 E LA GRANDE FESTA

 IN ONORE DI CATERINA

 

 

P

otemkin si era fatto costruire un magnifico palazzo a Pietroburgo che affacciava sulla Neva (Potemkin possedeva duecentomila anime e la sua ricchezza ammontava a cinquanta milioni di rubli, aveva armadi pieni di pezzi d’oro e pietre preziose e biglietti di banche estere; aveva trentadue onorificenze e si lamentava di non avere il cordone blu di Francia), ed era stato così descritto “Una facciata composta da un immenso colonnato che sorregge una cupola; entrando si trova un gran vestibolo sul quale si trovano, a destra e a sinistra  gli appartamenti; in fondo vi è un portico che conduce a un secondo vestibolo di una grandezza prodigiosa, illuminato dall’alto in basso, circondato, a una grande altezza, da una galleria destinata all’orchestra. Di là, un duplice ordine di colonne conduce alla sala principale destinata alle feste.

E’ impossibile esprimere l’impressione che esercita questo tempio gigantesco che ha più di cento gallerie; è largo in proporzione ed è fornito  di un duplice ordine di colonne e a metà altezza le logge sono ornate  di festoni elegantemente scolpiti e ornati all’interno di stoffe di seta.

Alla volta sono sospesi dei globi di cristallo che servono a riflettere la luce all’infinito con specchi messi alle estremità di questa immensa sala con le estremità a semicerchio. Essa non ha né mobili né ornamenti ma dei vasi di marmo di Carrara sorprendenti per la loro prodigiosa grandezza e per la bellezza della loro composizione. Da questa sala si accede al giardino d’inverno separato solo dalle colonne. La volta di questa immensa costruzione è sostenuta da pilastri che hanno la forma di palmeti; all’interno dei muri sono stati inseriti dei condotti di calore che circola tutt’intorno alla costruzione e delle canne di metallo con aria calda che mantengono una temperatura deliziosa.

L’occhio osserva rapito le piante e gli arbusti di tutti i paesi, mentre si riposa su una testa antica o guarda con stordimento dei pesci di tutti i colori contenuti in vasi di cristallo.

Un obelisco trasparente riproduce a vista con mille colori diversi queste meraviglie dell’arte e della natura e una grotta rivestita di ghiaccio lo riflette all’infinito. La temperatura deliziosa, l’odore che circonda le piante e il silenzio voluttuoso di questo luogo incantevole immerge l’anima in un dolce sogno e trasporta l’immaginazione nei boschi d’Italia. L’illusione è rotta dall’aspetto che tutto l’inverno ha di aspro e rude, quando lo sguardo incantato cade sulla brina e i ghiaccioli che circondano questo magnifico giardino.

Nel mezzo di questo eliseo si eleva magnificamente la statua di marmo di Paros, di Caterina (Pensate all’effetto che questa statua aveva potuto fare su Caterina ignara, vedendosela apparire all’improvviso davanti a sé! ndr). 

E in questo teatro che il principe Potemkin  dispose i preparativi per la festa che egli offrì alla sua sovrana prima della partenza per le province meridionali, dove l’attendeva la morte. Il principe sembrava avesse un segreto presentimento della sua prossima fine ed egli voleva godere in tutta la sua pienezza del suo favore.

I preparativi di questa festa erano straordinari come tutta la sua immaginazione avesse potuto partorire. Egli aveva impegnato per diversi mesi artisti di tutte le provenienze; più di cento persone si radunavano tutti i giorni per svolgere i vari ruoli ad essi affidati e questo ripetersi quotidiano era di per sé una specie di festa.

Alla fine il giorno fissato giunse di buon grado all’attesa di tutta la capitale. Oltre alla imperatrice il principe Potemkin aveva invitato tutta la Corte, i ministri stranieri, la nobiltà russa e un gran numero di rappresentanti delle prime classi della società.

L’arrivo degli ospiti era stato fissato alle sei di sera per un ballo in maschera; all’avvicinarsi dell’arrivo della carrozza dell’imperatrice, furono distribuiti con profusione, abbigliamenti, vivande e bevande di ogni specie al popolo che si era assemblato nelle vicinanze.

La carrozza dell’imperatrice entrò nel vestibolo al suono di una musica brillante eseguita da più di trecento musicisti; lei quindi si recò nella sala principale seguita dalla folla degli ospiti e salì su una passatoia che era stata messa in mezzo alla sala e che era circondata di decorazioni e di iscrizioni in trasparenza. Gli ospiti si distrribuirono sotto il colonnato e nelle logge; allora ebbe inizio il secondo atto dello straordinario spettacolo.

I due granduchi Alessandro e Costantino alla testa della più bella gioventù della corte eseguirono un balletto. I danzatori e le danzatrici erano nel numero di quarantotto tutti vestiti di bianco, ricoperti da magnifiche sciarpe e ricoperti di pietre preziose stimati del valore di dieci milioni di rubli. Il balletto fu eseguito su arie scelte, analoghe alla festa, intervallate da canti: il celebre Lepicq terminò il balletto con un passo di sua composizione.

Si passò in un’altra sala ornata da ricche tappezzerie di Gobelins, nel mezzo si vedeva un elefante artificiale ricoperto di smeraldi e rubini; un persiano riccamente  vestito, faceva da presentatore; a un segnale che diede battendo su una campana, si sollevò una tenda e si vide sul fondo un magnifico teatro dove furono rappresentati due balletti di un genere nuovo e lo spettacolo terminò con una commedia molto gaia che divertì molto gli ospiti.

Allo spettacolo seguirono due cori, varie  danze e una pompa asiatica rimarchevole per la diversità di costumi, che rappresentavano le diverse popolazioni sotto la dominazione della imperatrice. Subito dopo tutti gli appartamenti illuminati con la massima cura furono aperti alla curiosità degli ospiti; tutto il palazzo sembrava  avesse preso fuoco; il giardino era ricoperto di pietre scintillanti; del ghiaccio in quantità, delle piramidi e dei globi di cristallo riflettevano dappertutto questo magnifico spettacolo.

Era stata preparata una tavola con seicento coperti, il resto dei convitati fu servito in piedi. Il vasellame era d’oro e d’argento; le vivande più ricercate erano servite in vasi della più grande ricchezza; i liquori più preziosi  scorrevano in gran flutti da antiche coppe; dei lampadari di grandissimo valore illuminavano la tavola. Gli ufficiali e i domestici, riccamente vestiti si prodigavano in gran numero a prevenire i desideri dei convitati.

L’imperatrice, contrariamente alle sue abitudini, rimase fino a mezzanotte; essa sembrava temere, si lamentava, di turbare la felicità del suo favorito; quando si ritirò numerosi cori e una musica armoniosa fecero risuonare i vuoti del palazzo, di un inno in suo onore. Essa ne fu tanto emozionata che si girò verso  il principe Potemkin per testimoniargli  la sua soddisfazione; egli trascinato dal sentimento di tutto ciò che doveva alla sua sovrana, si gettò ai suoi piedi, prese la sua mano e la riempì di lacrime.

Fu l’ultima volta che Grigorij Alexksandrovic Potemkin poté testimoniare la sua riconoscenza all’augusta autrice della sua grandezza.

 

 

LA MORTE

DI CATERINA

E L’AVVENTO

DI PAOLO I

 

 

A

nche per Caterina era giunto il momento di lasciare questo mondo: era ingrassata andando fuori misura, con le gambe gonfie che si aprivano; era il periodo della visita del re di Svezia che doveva fidanzarsi con sua nipote e lei si sottoponeva a continue fatiche salendo e scendendo le scale di palazzi per partecipare alle feste, rifiutando  la portantina perché voleva apparire più giovane; si faceva curare da  Lambro Gazzioni, un ex pirata che le faceva da buffone, il quale la curava con l’acqua di mare fredda che le procurava un certo giovamento.

In quel tempo la tinta del suo viso era divenuta più rossa e più livida e le sue indisposizioni più frequenti; il quattro novembre (1796) aveva ricevuto la notizia che il generale Moreau era stato forzato a ripassare il Reno e si divertiva con Leon Narischkin, suo grande scudiero e primo buffone, che la divertiva con tante bazzecole.

L’indomani si svegliò normalmente e dopo essersi trattenuta con il suo favorito, mandava via tutti coloro che si erano presentati per parlare di affari, dicendo di attendere nell’anticamera, che li avrebbe chiamati.

Dopo aver atteso qualche tempo, il valletto di camera, Zaccaria Costantinovich entrò nella camera e trovò l’imperatrice, la Semiramide del Nord, accasciata senza che potesse emettere alcun suono, riversa tra le due porte del guardaroba dell’alcova. L’imperatrice era già senza conoscenza e senza poter fare alcun movimento; si mandò a chiamare il favorito che era al piano sottostante, chiamati i medici, tutti erano costernati; misero un materasso sotto una finestra mettendo l’imperatrice sul materasso; fu spedito un corriere a Gatschina dove si trovava il granduca Paolo, il quale, giunto con la famiglia, avvicinatosi alla madre, non fu riconosciuto.

Tutti i presenti rimasero vestiti tutta la notte in attesa dell’ultimo respiro, mentre Paolo era tutto preso a dare ordini per preparare il suo avvento, non preoccupandosi della madre che lo aveva così poco amato; l’unico segno di vita di Caterina era il respiro; verso sera sembrò rianimarsi, ma cominciò a rantolare orribilmente e successivamente emanò un lamento che fu inteso negli appartamenti vicini ed espirò dopo un’agonia di trentasette ore.

Paolo-Petrovich era già in età matura, aveva quarantadue anni; la moglie fu la prima a inginocchiarsi ai suoi piedi e abbracciarlo come imperatore; poi giunsero i cortigiani, i capi dei dipartimenti e dell’armata, quindi gli ufficiali e soldati che prestarono il giuramento di fedeltà; l’imperatore si recò egli stesso al Senato per ricevere il giuramento dei senatori e il giorno dopo Paolo I fu dappertutto proclamato imperatore e il suo primo figlio, Alessandro, zarevic; il padre per averlo sempre al suo fianco lo nominava governatore di Pietroburgo.

Paolo confermò con generosità tutte le cariche affidate in precedenza dalla madre e al comandante generale che pensava di essere sostituito, disse:-Continuate pure a svolgere  le funzioni presso il corpo di mia madre, certo che mi servirete fedelmente come fedelmente avete servito lei”.

Il suo primo atto fu di mandare in esilio Platon Zubov il quale se ne partì fastosamente, viaggiando per l’Europa in attesa che giungesse l’ora per vendicarsi.

Il nuovo imperatore pensò subito al funerale del padre che fece disseppellire per mettere le sue spoglie accanto a quelle di Caterina, con l’iscrizione solenne “Separati durante la vita, uniti nella morte”.

Gli Orlov accusati dell’assassinio di Pietro III durante la terribile notte in cui Caterina si era impadronita del trono, furono costretti ad assistere al funerale, di fronte al popolo che mormorava i loro nomi: due dei fratelli tenevano il drappo mortuario con molti dei loro complici; essi potettero contemplare il viso cadaverico dell’imperatore defunto e quando Paolo gli domandò se non avessero avuto delle emozioni al ricordo di quell’avvenimento fatale, Grigorij Orlov rispose che “Se essi avevano dei rimorsi essi sarebbero stati cancellati dal servizio che avrebbero avuto l’onore di prestare all’imperatore Paolo, perché doveva sapere che l’atto più solenne del regno di Pietro III era stato il disconoscimento della sua nascita, di modo che senza l’attentato che ad essi si attribuiva, Paolo non avrebbe portato la corona che ornava la sua testa”.

Gli Orlov ricevettero comunque l’ordine segreto di lasciare la Russia e si misero in viaggio per il mezzogiorno dell’Europa, manifestando il loro amore per l’arte:  il conte Orloff (così scritto in italiano)  visitò  Roma e Firenze, e fu il padre o lo zio del Conte Gregorio Vladimiro Orloff appassionato d’arte che scrisse l’ ”Histoire de la peinture en Italie”.

Tra le prime iniziative prese da Paolo I, nel ricordo del viaggio che aveva fatto in Francia, volle combattere in pieno la Rivoluzione francese  assumendo al suo soldo l’armata del Condé  (formata da 8.500 uomini, tutti nobili) e aprì le porte della  Russia agli emigrati francesi che volessero recarsi a Pietroburgo: ma la Rivoluzione aveva già messo le sue radici solide di sangue e la Storia doveva proseguire nel suo corso e le iniziative prese da Paolo I  non potettero far nulla per fermarla.

 

 

 

 

*) Secondo Gitermann Caterina non aveva alcun diritto ad assumere il trono in quanto, egli scrive  che: “lei era straniera e in sostanza non aveva alcun diritto a considerarsi sovrana; vi era un figlio legittimo, o almeno che passava per tale, del monarca ucciso, Paolo Petrovic, e Caterina avrebbe potuto assumere tutt’al più le funzioni di reggente durante la sua minore età”.

 

 

 

 

FINE

PARTE PRIMA